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stati di e)(stasi

E pensare che un tempo a me bastava:
rincorrevo le ombre in cerca dell’ottava superiore,
un congegno interno tra le falde del quaderno,
rovistando tra conchiglie pregne del fragore dell’eterno.
E su quella surreale riva costruivo castelli di fantasie
dove farci abitare le paranoie: io le tue, tu le mie.

Gramo l’amore ai tempi delle banche,
della sovrabbondanza dei sensi, contemporanei
astanti degli istanti e dei bulimici d’intenti.
Persino il “ti amo” ha serrato i battenti.

Medioevo mediatico, sogno sempre in replay
d’uno scanzonato bisogno d’infinito, sbiadito
da ricorrenze in delay. Sospiro, sollievo – giro di boa:
mare magnum da attraversare in canoa
cercando qua e là una qualche traiettoria
per surfare sul software che da info sparse e codici
intrami la storia. “Avremo le branchie”, mi dici,
“e saremo felici”. Ma non avremo memoria,
e forse non saremo nemmeno amici.

Sparecchiando lo sguardo delle pose da codardo:
liberato il gattopardo, scagliatosi il dardo
oltre lo specchio, oltre le apparenze
oltre alle interferenze trasformiste e digitali
che non lasciano impronte, tutte uguali.
Scorgendo un viatico d’orizzonte, spalancammo le ali.