A.09
Aiutami a ritrovarti
Ci dev’essere un modo
per fissarti
come capolavoro
nella pietra.
Nemmeno poche parole
perfettamente allineate
o degne abbastanza
di te parlerebbero.
Ma fosse oro
che ti impersonificasse
e ti rendesse unica
non è come la vita che mi hai creato dentro.
Tutta la mia vita, per te,
mia dolce musa,
varrebbe questo incanto
che mi hai donato.
Solo per te, sommità dei miei pensieri,
avrebbe senso vivere
per sentire che esisti,
e affrontare un mondo
che mi chiama per ritrovare in lui, te.
Per questo, non essendo con me,
il mondo brucia e muore,
come sono morto io dall’ultimo tuo sguardo,
ma aiutami a ritrovarti,
e ad uscire da questo cuore,
per sorriderti ogni volta
quando incontro qualcuno fuori o piove.
Mal di fegato
Questa vita
il mio fegato ancora non la regge
dal cibo all’alcol al degenero umano
nella più bassa concepibile qualità
sono decisi a farmi ammalare
contorcere e piegare
senza un amore che mi protegge,
solo, sciogliermi nelle tenebre del sesso
in fiumi carichi di lacrime, affogandoci spesso.
Della rabbia brutalmente concepita,
nella lotta contro ogni legge,
nello sguardo sfuggito della donna favorita,
vedo solo polli che non sanno volare
beccare mangime senza dignità
in questa cella senza cantare
in questa gabbia senza via d’uscita.
Occhi. I tuoi, i miei.
Riflesso, dei miei, dei tuoi.
Non sono io, sei tu.
Labbra morbide, per te,
pelle chiara
sole rosso
palpitazioni del cuore sempre infranto
bagnasciuga mutevole allo scontrarsi delle onde
piedi freddi.
Occhi. I miei? No
Voglio vedere solo i tuoi, i tuoi, i tuoi
che guardano i miei
sanno delle mie labbra
delle mie reazioni alla diversità
che piangono di felicità.
Sono solo un guscio di una conchiglia
sbatacchiata, che cerca qualcuno che la abiti
prima che si rompa senza aver accolto qualcuno fino in fondo
alle sue viscere, indistruttibili.
E se l’avvicinerai all’orecchio sentirai una voce silente
che ti chiama, ti chiama, ti chiama con la voce del mare,
sparsa dal vento, per innumerevoli valli, cadendo a terra
trascinata dai fiocchi di neve.
E per sempre il desiderio di te vivrà in me.
Tra gli scalpitìi dei destrieri da guerra
si cosparge l’aria d’ansia e d’arresa,
l’odor delle viscere
di qualche uomo sconfitto e dolorante.
Per questo m’apparto col mio mulo
che sa ragliare da asino contro bestie senza meta
e preferisce la danza allegra delle foglie,
sospinte sul sentiero
dal vento, oltre il muro.
Suo il merito d’avermi salvato dall’oblio
poichè v’è del cavallo una gioia,
un sentir leggero del cuore
irrequieta comprensione
del destino e della sorte di ogni voglia.
Se penso a te uomo,
sacrificatore della tua vita
senza ombra di saggezza in ciò che stai facendo,
fingendo,
capisco perchè ti nutri di carne rossa
con il sangue versato di vitello.
Il mio mulo m’accompagna,
senza prole e senza grazia
verso un mondo che non sentiamo
di fratellanza e speranza
in un giorno in cui un dio buono
all’interno dello spirito tornerà
restituendoci i campi pieni di sole,
da coltivare,
sottraendoli ai ladri di terre abitabili
per noi
che siamo figli di una natura più fertile.
Iniziazione alla solitudine di un malato d’amore
Sento di lanciarmi,
di aggrapparmi alla mia esistenza
e ripartire
sul quel sentiero
tracciato dal ritmo del mio cuore
oltre il presente soffocante
oltre il domani oscuro
e recitare i miei canti orfici
per proseguirne la scrittura ed il cammino.
Perché
fino a che punto ci potremo riflettere
dentro a uno specchio di fronte ad un’altro specchio,
per trovarne il fondo dell’anima che bramiamo
e che mai potremo possedere
anche se ti prometto
che ti amerò per sempre?
Eppure,
la nuova fiamma che mi divampa,
dal sentimento libertario
e dal sapore anarchico, si esprime.
“Se non da solo,
scalando le vette più alte del mondo,
chi sarei
se non la roccia che tocco
di mia mano
per l’uomo che sono?”
Aberrante nolenza del male
Aspettavo qualcuno
che avesse avuto
le parole giuste,
per colpire la mia coscienza e risvegliarmi,
magari con cattiveria alla mia cattiveria,
e poter chinare la testa
arrivando a capire perchè ho rovinato il mio mondo
che è qui e me ne circondo.
Ma bensì, a questo qualcuno,
capisco che avrei voluto dire io le parole giuste a fare male
buttandolo giù dal letto e svegliarlo da questo sonno profondo
in cui giace il suo annichilito e vile spirito.
In realtà anche a voi tutti
per i vostri carichi di ipocrisia e drappi di mentalità serrati,
ai nostri mancati dialoghi interiori,
o all’immaginazione svanita nello psichismo post razionale,
con i vostri mondi che si intrecciano al mio,
ma dentro, al magma dell’anima,
racchiudete un frutto totalitario dell’omertà e dell’ignoranza
del quale io, e forse altri, non vorremmo farne parte.
Avete perso le parole, e un’opportunità,
per farmi stare zitto al male già pronto per voi,
il male vero, la verità,
per non permettermi più di credere a quello che dico,
del male,
vero,
della critica, vera,
per voi.
Tempo grève,
grida di ritmi tuonanti
ma a ridondarti
è il grigio passo liève
cercando d’essere amanti…
cosparsi di unguenti che
cicatrizzano le insopportabili pene,
sussurrando musiche
in luminose acque in discesa
dalle vette
per innamorarsi
nelle preziose gioie terrene.
In difesa
dai rintocchi domenicali alle sette
è la pretesa
di cadere in colate di baci
in abbracci arcobaleno
e mille idee in frasi
mentre percepisco il tuo seno.
E ora non sfuggirmi gioia ripresa,
non riuscirei più a farne a meno
come di fumare le sigarette,
come ciò che spero o quasi
dell’eterno amor, vivo, in me, appieno.
Risplende la sera
quando sdraiato sul letto ti penso
e ogni luogo
e ogni cosa s’illumina
tranne il profondo del mio cuore
dove la tua ombra vivrà in eterno.
Il bagno di folla
Luoghi del capitalismo,
affollate disperate trincee dell’anima.
Mercati del nulla
e merce che sfuma di inutilità
come vuoto riversante nel mio cuore solitario.
Il mio bagno di folla non è tra l’inosservanza
dei fiumi umani che si ammassano,
è sì l’incostante e necessaria ricerca priva del tedio,
che non porta lontano,
se non trovare te con un cuore in mano
oscillante tra spallate che a fine giornata
ti spingono ad alzare il gomito,
per difenderti e trovare conforto
dove mi reco anch’io.
A fine giornata
nel rilassante caos delle emozioni travagliate
vengo a cercarti, penso che me lo donerai
eppur mi accorgo che quello che reggevi
l’hai posato a casa, per immergerti in un altro bagno di folla
all’americana.
Adorare
Non credo in niente
ai giorni nostri non si crede
non si pensa
e non si vive.
Sembro
un essere umano, vivo.
Ma viva è questa morte,
che anche tu sembravi vivere,
quando stavi per mancare
vivo lo eri di più,
nel mio cuore,
che non voleva lasciarti andare.
Oggi vai, portandoti dietro tutto,
oggi vai su una nave carica
della tua vita,
di quello che hai compreso
ad essere amato, ad amare.
Un amico, un padre, una madre, un fedele compagno,
un fratello, un amante
un pezzo di me se ne va
insieme a te.
O forse avrà più valore;
mai saprò darne del giusto a questa vita,
mai riuscirò a farmene una ragione
di questo inferno
che si colora poi d’immensità
al cospetto dell’esistenza.
E della tua infinita luce che ha illuminato le mie tenebre,
sconfiggendole per me, standomi accanto,
accompagnandomi all’alba nei pensieri del suicidio
in passeggiate senza fine, senza meta;
nell’estasi dei prati
ho vissuto l’adorare.
E un cane, come ogni dio dovrebbe essere,
non chiede niente in cambio
per questo splendore dell’attimo vissuto insieme,
perchè viva testimonianza
di ciò che più vivo c’è,
di ciò che fece lievitare San Francesco
e bruciare i riti pagani
è avere questa sensazione rivoluzionaria,
opposta alle profonde radici dell’umano odiare;
mentre io, un ignorante uomo qualunque,
apprendo questo solo sul finale inevitabile
avendo la coscienza seppellita sotto strati di vite indifferenti.
Dalla finestra, ragazza, ti vidi
seduta sull’unica panchina del quartiere
ad aspettare qualcuno.
Oggi è estate, seduta con un bambino
al collo, per allattarlo sotto la frescura
e ti rivedo donna senza tempo .
Il ragazzo che ti sognava,
rimane lo stesso ragazzo di sempre,
non invecchia mai, non cambia mai
conservato a lungo in casa dalla sua malinconia .
Dell’aroma tuo rimane il mio imbarazzo
del saccheggio di dolcezza,
l’aridità mi rende barbaro.
Ma chi mi vede? Pazzo e vigliacco,
con la voglia di decadenza
che vince le sottigliezze.
È la perfezione estetica dell’amore
dell’anima mia il turbamento eterno.
Il tempo, piano, lo accresce.
Sola speranza è la certezza
della fine di questi giorni,
del mattino mite che accarezza e cresce
una campagna libera dal rumore,
dell’orgasmo, del cuore e della terra
che muovendosi al grido eterno della vita
mi appacifica con le paturnie.
Una terza figura
Sarai
nel momento in cui sei
tutto ciò che cerchi.
E’ tuo
e se vali per i tuoi pensieri
come per le tue dimostrazioni
arriverà il momento saliente di agire.
Anche se grandi e impossibili, le farai
e la tua mente soddisferà tutto ciò che rappresenti.
Tutti i tuoi spiriti e ardori si eleveranno
e quando ci sembrerà di rotolare in basso,
fino in fondo al buio di cave eterne,
di nuovo Tu
in noi ben voluta, accolta a braccia aperte,
stretta stretta, per gli inquieti sentimenti che patiamo
titubanti e piangenti, pieni di rancori e sensazioni perdenti.
I nostri pensieri sono atròci
tu sei con noi, in questo
incantandoci della vita e della morte
in spirali ipnòtiche di rituali ciclici terreni,
avanzi nel tempo forse troppo in silenzio
ma se vogliamo, tu ancora esisti.
Eppur, si, ci manchi, e ci sei,
Non da sola resisti perchè vivi e consisti
in ogni filamento di luce circolante attorno
sui quali cammini e respiri, sorridi e sospiri.
E te, mio riflesso e volume, in noi, continua ad amare ancora.
Alzi lo sguardo,
i tuoi occhi neri riflettono il cielo.
E se blu si riflette su sfere di carboni
anche Dioniso urla e sconvolge
e agita il diurno e il notturno.
Apri il tuo sorriso,
vibrano le coste Atlantiche
al flusso di onde insistenti,
è un suono battente, come tamburi avvolti da seta,
e ridono, ridono di gioia vera.
Annunci il tuo nome,
l’ho già sentito,
ma su di te fiorisce con vesti nuove;
c’è oro in ogni campo che ariamo,
tra parole d’agrumi succose spremute
penso al tuo volto non nuovo per me.
Dimmi,
cosa aspettiamo a baciarci?
Ma entrambi, uccisi dall’abitudinario,
nel meglio, cercando questo disinibito piacere
di scoprirsi amanti,
razionaliziamo
e la filosofia delle nostre nuove vite
ci costringe a rimanere soli.
Breccia
E’ ancora presto per vedere l’alba.
Nella notte la diga si è riempita
cresciute e vertiginose le mura
si allungano per appianare ripidi costoni.
Cresce, l’abisso, cresce il riparo
di una valle d’acqua,
di sentimento che cresce,
profondo,
che pesa.
Il tuo dardo di fuoco
penetrato nel ripido cemento
crepa l’ostilità cresciuta senza amore.
E come un’onda
la gioia esplode da questo ventre
trascina via ogni pezzo del mio rancore,
dolce acqua bagnata dal sole.
Non dirlo a parole
usa le tue mani
e insieme tracciamo percorsi sensuali
seguendo le vie del cuore
in ardente palpitare
al sopraggiungere della lenta danza dei nostri baci.
Sacro amore e luce di Venere
che libertà non illudi
avvolta dal mantello di Minerva,
per ogni gioia una giusta guerra.
Ovunque tormenti per la bellezza divina,
è inspiegabile ricerca
su ogni pezzo sacro
la sacralità continua dell’incestuoso universo,
infinito imprescindibile dei cicli cosparso.
Cercare e arrancare disperde
essendo un bandito,
brigante e ribelle,
trovo cicatrici sulla pelle
di gesti goffi e altri ignoti combattenti.
Dolce solitudine, compagna silenziosa,
aiutami ad aspettare.
Salgo me stesso,
ancora, centro e méta
di un cammino gagliardo,
goliardo, infingardo,
lungo tutto una vita,
trovando nel cielo notturno i tuoi petali
nell’aurora e nel crepuscolo i miei giorni,
come fiamma viva nel cuore,
ancora del desiderio tuo ardo.
Drago, lingua di fuoco
parole veloci di tuono
contrasto roccioso
di grotte e dirupi
se non volo libero e cado
mi inerpico geloso, vile , contagioso.
Tra pozzi profondi collegati orizzontalmente,
è la mia mente
fossa comune di lettere
morte di speranza
in casa della comprensione,
e colate laviche di retorica
inceneriscono e fondono la logica
anche se
manco di niente, manco di tutto,
nell’assenza del giusto gusto.
E chiaramente odio ogni giorno,
ogni giorno senza te
che passa inesorabile
e finisce mutilato, dissanguato,
essiccato.
Eccone uno che termina ancora,
così mi accontento
di verità simili o simulate
sporcandomi in pozzanghere
su mafioso cemento.
Ti sogno saggia, nell’antica Roma
alle terme di Diocleziano
in un mondo chiaro e pagano,
gallerie e acquedotti di acqua pura
con scritte latine sotto statue dalla folta chioma;
riusciremo ad avviarci lontano
se infuocato senza lamento
servirò me stesso contento.
Cerco l’uomo,
tra le correnti e i vortici
in me stesso, nel giorno,
attorno, nelle notti senza ritorno;
tra inseguimenti di prede e orde di cacciatori.
Nascosto nell’ombra,
scomparso o smarrito,
lo sento urlare,
accendere fuochi,
vedo le tracce della sua paura
sul sentiero degli Apache.
Mi assilla il motivo, forse perchè devo
lo seguo.
Ti sogno
al mattino ridente
mi accarezza ancora la tua ombra.
Sono sicuro
nuovamente tu,
chiudo fiducioso gli occhi,
e vedo il mio cuore proteggerti
da una mente traditrice e orgiastica
pronta a chiuderti in un cassetto.
E tu, ancora così lontana
cambi, e non so come.
Non so come potresti.
Non so se vorresti.
Sulla mia pelle ancora i segni dei brividi
lasciati anni fa
mentre questo pezzo di carne che pompa vita
è lambito,
morbide lingue di feroci chimere
assaggiano la fiducia
che provo nell’amore incondizionato,
per te.
E mi sento preda
Le Gran Lux
Arriva,
dopo un pasto frenetico
la pausa digestiva e la vista confusa.
Quando passa l’amore epico
patetico, alla rinfusa.
Passeggiando tra i boschi e tra i mercati
dopo i rumori della paura.
Arriva dopo momenti confusi e pacati
persi nei colori dell’aurora scura.
Spremuta in ciò che si cerca, arriva
e senza chiedere nulla, smarriva.
Vuota e frustrante coscienza
vuota anima senza di essa
e femmina sola, piangesti parole liberali
riunite da una necessaria essenza,
in parabole universali,
dolenti umori di un’epoca non espressa.
Vedo il verde dei tuoi occhi,
è medicina del mio spirito.
Gusto le fiamme delle tue labbra,
è il calore delle mie viscere.
Inebrio al tuo odore di dolce metallo,
è la grazia del mio essere.
E mi perdo toccando vellutatamente la tua pelle piena di lentiggini,
ognuna per ogni vita che ti ho desiderato.
Conoscerò te, guida e musa,
che sola hai la chiave per essere migliore?
O ripetutamente dovrò correre
sul sentiero che ancora, dopo troppo poco,
dopo ancora troppi pochi passi,
devo seguitare a calpestarne
le scoscese forme irregolari
in sinuosi passaggi
ad ogni minimo ostacolo
in montagne andine,
fino a trovar la radura ospitale del tuo fertile ventre?
Sfiderò il tempo, con ciò che non ho mai capito,
tollerando la sabbia negli occhi
di ogni giorno buttato su di me,
come se fosse stato inutile farlo.
Un pò di leggerezza
arriva per dare vita
al giusto riepilogo delle vicende,
dove finisce il passato
portato via da fiumi invernali,
decomposto dalla fame dell’avvenire.
O semplicemente è finito
l’insospettabile sguardo della giustizia
che volle far sentire la sua presenza,
per raddrizzare la via del decadimento,
per gustare l’esistenza senza pentimento.
Quando passi davanti al mio sguardo
l’attività dei miei pianeti sviluppa un insolito richiamo.
Al tocco impulsivo del mio universo,
il tuo sorriso stirato oltrepassa il saluto come un gelido dardo,
sfreccia senza amichevole intento dal peccato che pareggiamo
a poggiar sul mio cuore, infranto e regresso in ogni suo verso.
Bastano a noi le storie di verbali abusi
questa noia di una nuova composizione della polvere
tra scambi e opinioni sulla bella e contesa ragione
vivere e riflettere dei giorni tra costumi e usi:
ogni quel dì porterà il tuo nome, rosso colante sul rovere
della creazione che fu all’innocente illusione.
Eppur, quando passi, è meraviglia vederti ondeggiare
sui tuoi fianchi equini, dondolar silente sull’indecisione
atti del futuro assassini del presente, per il tuo istinto
di solcare l’oscuro orizzonte verso un lontano giaciglio, per mare.
E se un filo di voce potesse sussurrarti: cavalca le onde con più passione
e veleggia sotto un tramonto vermiglio, per te il perdono è già dipinto.
Ho visto sovrapposte
le cose più belle
ancora lì vive
nello spigato fiore di un gruspino.
Strappato e teso a piene mani
verso il muso desioso di un cavallo
l’ineluttabile gioia del trasformare
ogni cosa in fertile letame.
E nuovamente l’aurora solca l’orizzonte
gonfia in petto la verde danza terrena,
finalmente respiro
il vento interiore della meraviglia,
la bellezza diventa infinita.
Sarà un incontro
di specchi e animali
quando osserverò la mia figura
che ciecamente cercavi
quando anni di un pensiero
trovano filamenti di luce
e tutto il resto celerà all’interno.
Rappresenti il tempio
con aglio secco all’entrata
che non potrò solcare con streghe e stregoni
e con fiumi poveri di un piacere ignoto,
perchè sei parte di un volo amico
lunghe fila di aironi che passano osservando
stagioni mitigate dalla volontà.
E stà tutto qui
nel pulsante cuore
e all’attenzione del tuo velato sguardo turchese
che non vuoi completamente mostrare
la mia gioia di vivere.
Una donna che ti vuole a metà
l’adagio for string che copre i metalli
umiltà che rosica fino all’inutilità
libertà sfondante come
imbizzarriti cavalli.
Stride
l’urlo della mia anima
anche se forte è il richiamo selvaggioo
ora capisco la congestionante speranza ondulata a rassegnazione
di sfiammanti ricordi a me cari.
Stringo
forte al petto la paura di restare solo
e fredde mani inibite
con cui cospargo letame maturato
ad invigorir sogni d’amor che sempre ho seminato
e mai realizzati, se mai esistiti.
Rabbrividisco
di fronte ad un mondo così piccolo sprofondante in delucidazioni costanti
apparentemente perfette e troppo esasperanti,
come ragnatele agli angoli oscuri della stanza
catturano falene mentre fuori è luna piena.
Respingo
ogni legge certa
ogni vecchia scoperta
ogni gesto incerto
ogni volto coperto.
Aspetto
il tuo candido viso
di gemme e perle intriso
raddoppia l’aurora il tuo sorriso
e primavera sarà senza preavviso.