S.130
Esamine terra
Da tanti pezzi sono venuto creato
identità non ho
ma solo in colori vermiglio vivido l’anima
mi hanno mischiato come
il carnato del livido.
Traviato dal vizio della frammentarietà,
mi chiedo
- dov’è la mia unità? -
Righe di stagni d’acquerello è la mia pelle,
e piccoli puntini neri come grumi di sangue
maligno e rappreso inchiodano la mia
libertà. Mi chiedo se sia condizione questa,
d’umanità.
Frammenti
(1)
Come un petalo di rosa rosa d’autunno sfatta
tu nuda falena natante, bianca di luna
ondeggi assieme alle fiaccole:
lucet(te) illuminanti un lontanto segreto.
(2)
Frana aria di mare dalla tua anca.
È soffio d’un veleno salato che una volta insinuato:
corrode condotte e fognature umane,
marcisci per mancanza d’acqua.
(3)
Erano sui ciottoli lucidi di piazza Venezia
sospesi nell eternità senza fine i nostri baci,
luci riflesse nelle gocce fitte di pioggia fine,
come nebbia densa:
d’ovatta si posavano sulle labbra.
(4)
Per me ti chiedo:
Società libera d’umanità
E quando morirà anche l’ultimo dei pensieri miei
staccati come capelli, sarà
calvizie dell’anima.
Mi troverete impiccato
pendolo sul Tevere, ad un cappio legato.
Con la cenere nella tasca
e l’ultimo verso di questa o quella poesia
tra le labbra
“Morto, non per sofferenza ma per la vostra presenza”
Aspetterò qualcuno tagliare la corda,
mentre riderà pensando d’aver liberato la società
dall’ultimo pesce malato d’umanità.
Farò di quelle acque di miasma
la mia bara di freschezza.
Verrà la morte e avrà i miei pensieri
per farli lievitare in profondità di questa pagina
e sarà finalmente l’eternità.
Vive le vent, vive le vent!
La rovente assenza di una placida coscienza
ribolle nei pensieri brandelli di lacerata nuvola.
Contro una vita traditrice
una lavica parola basta perché s’accende
d’un uomo l’anima incandescente
cosi leva le bende
poi le catene, liberando la mente
taglia i legami prima col passato
e poi col presente
e in fiamme si para davanti al ventoso Futuro.
l’Iddio Onnipotente è chiamato a guardare
ma l’uomo ride perché
è Inerme e non lo può giudicare
per quella vita spesa a bruciare al soffio del vento.
Niente può placare questa poesia di vento
che spira su menti obbedienti e anime spente
come il mare quando si schianta
addosso a spiagge ferme.
Rìvolo d’acqua curva sulla tua guancia
e si perde alla foce della tua bocca.
Scompare, tra carnosa morbidezza
della pelle che da bianca si fa
semplicemente rossa.
Pare scivolano d’un pianto gocce di sale
di fuori non s’ode rumore del mare
ma solo il canto di quelle cicale.
Ma tu sei come assente e cedi e ti concedi
al gusto di questo impatto letale tra il bene e il male
piacere primordiale che ricorda all’uomo di essere
cosa animale.
È estate e l’aria è arida ma tu sei combattuta e sbraiti e sbatti e piangi la forza di vivere un attimo
di piacere.
De meo universo
La sabbia
come la filigrana
le macchie di leopardo,
un quadro di Seurat.
Come i granelli di polvere
che oltre il vetro
turbinano nel raggio di sole.
Come le lentiggini di mia madre
briciole di pane,
poi un fiore, amore
a piccole dosi.
Mi governano piccoli corpuscoli d’atomo
leggeri si portano col vento
e non c’è spazio che si dica vuoto
senza di essi.
Personale verità
Lancia lo sguardo a Nessuno
e bacia l’aria.
Amerai l’ombra inconsistente del
vano credo lontano:
dell’Esser sacro e
insieme profano.
Speranza e vanità
M’hai fatto brullo e deserto
un pazzo
in cerca di un precipizio.
Un muro rimasto a brandelli
un foglio bianco
senza disegni
una foglia leggiadra
ghiacciata, dal freddo.
Nel vento resto
aggrappato a spirar incerto.
A picco sul mare 2
Del mare mi pare
che quasi mai si stenua
il suo infinito colore,
come disteso
sullo sfinito languore
che a poco a poco
sembra diventar
lontano
sfumato piano.
io rimango a guardare
così piccolo a sentirti così grande
A me e a te che siamo stolti
Sogno ma son desto
guardo ma son perso,
deserto?
E a te cosa sembra?
questa vita
se non quell’inutile cielo terso?
La mosca Ulisse
Il giro di giostra, mostra
alla mosca cieca
la parte losca del mare in tempesta.
Lanciata nel vento va intrepida
via dalla terra.
Ma un’onda scura addensa l’aria,
quando s’infrange
sulla roccia dura che le intrappola l’ala.
Il groviglio di quelle onde di trina
diamante crivellate
possiede la sua cecità. Vaga
appannata e stanca su un argenteo sentiero
Luna.
Eppur non vidi mai
così tanto me stesso
fuori di me
che di specchiarmi
ebbi come la sensazione
guardandoti.
Allora attento guardai dentro di te
nel mentre che mi perdevo
in me.
A picco sul mare
Qualche turista si ferma a scattare un ricordo
ai bambini fa girare la testa ma poi ridono
meravigliati dal senso di altezza che hanno intorno.
Il mare biancheggia
tra gli scogli che ruvidi
spuntano come i tuoi seni turgidi.
io rimango a guardare
insulso spione di me stesso.
Attacchinaggio
Nella notte la città è muta ma
tra il grosso fracasso di parole sciolte
su fogli segnati dalle tre fatidiche lettere rosse
risuona, un riverbero verso di gabbiani.
giovani poeti,
studenti e banali erranti
camminano in silenzio:
hanno tra le mani parole a cui dare un senso.
Sei
Sei
quel frammento di cielo
c he quando tengo il naso un po ‘all’insù
s’intravede se guardo bene
tra le foglie ei tetti,
seppur piccolo piccolo e quasi impercettibile
miracolosamente
mi ci perdo dentro.
Sei
l’orizzonte che sconfinato si spande
davanti ai miei occhi.
Del mare in burrasca tu sei le gocce
infrante ad ogni scoglio e l’aria densa
piena di sé che si respira.
Sei
delle mie labbra il segno
lasciato da un calice di vino rosso
indelebile.
Materia
Prima c’eri tu
che riempivi spazi d’aria,
luoghi di tempo.
Sei piccola ma riempivi tutto.
Spazi di colore bianchi che diventavano rossi
luoghi di tempi morti che diventavano vivi.
Ode
A tutte le emozioni letali,
ma anche alla voglia di farsi del bene,
di quel bene sempre misto al male.
A tutti i sogni degli illusi,
e alle immagini che muovono nelle vene
viste con gli occhi di chi li ha chiusi.
All’eco di un oblio di una voce
a tutto ciò che dentro di me cade
senza trovare pace.
Ma dove vai
cos’è, non lo vedi che hai la faccia scavata dai ricordi?
giù in profondità quelli
ti scendono
fino ad arrivare alle porte perlate
di labbra assetate
spaccate dal vento.
ma dove nascondi le notti infuocate
che porti nel cuore
narranti corpi stremati
per l’incessante dolore
di essere arrivati?
chi ti guarda per strada lo sa
che ti porti dietro cose
troppo grandi per stare
in una persona così piccola.
ma non sa quanto sai resistere
ai colpi sferrati da ciò che hai dentro.
C’era uno spazio
C’era uno spazio accogliente
da cui, a rigare il viso, straripavano lacrime calde,
sorgenti di mille parole
sillabe mute di interminabili sentimenti.
c’era uno spazio che non so che fine abbia fatto
che non so se sia stato riempito.
ma ho paura a dimenticarlo
così
perso chissà dove
e lasciarlo vuoto.
che vuota rimarrebbe
tutta quella parte di me
che senza più te
niente è.
Nostalgia non mandarmi via
con quelle tue mani.
Voglio restare ancora un altro po’
e per un’ultima volta
nel tuo abbraccio bugiardo
di finto calore
pensiero impostore.
Convincimi che tutto non sia beffardo
Mente mia,
dammi la prova che lo spettacolo sia vero
che il vento ci sfiori davvero
che lei è qui e non dietro un velo.
Vorrei la pioggia
Hai reso aride le sponde del mio corpo.
Al passaggio del tuo pensiero veniva una linfa
vitale:
spuntavano fiori
spuntavano girasoli.
E quando eri pioggia fresca
non si sentiva dello zolfo l’odore
ma c’era sulla mia pelle
il sapore dell’amore.
Vorrei la pioggia