V.35
Lo sporco sonetto di Wa’el Walid
Pochi euro, e già le stringevi in mano:
eran tue. Poi scalpiccio di lei,
tempesta d’ossa, di trucco e di nei,
che ti giungeva da poco lontano.
Le dicevi: “Il bar sta al terzo piano,
su, andiamo! Ma sai, prima vorrei…
Ecco, son per te. Che bella che sei.”
e ormai eran le sue, lì sul divano.
Che poi vi siate scambiati mucose,
abbracci o pensieri, non è affar mio:
a me interessa che siano piaciute.
Soddisfatto di avertele vendute,
ma un po’ d’amore lo vorrei anch’io.
In fondo quelle erano le mie rose.
Corpora
Quel mese di aprile
fu un eterno fiorire
di lui che cercava la morte e diceva “è la fine.
Perché a morire si muore ogni giorno,
ma se m’ammazzo e mi levo di torno
poi sento leggero il peso del mondo:
starà su chi dice di starmi a sentire.”
L’adieu : le saut, la plongée, l’impact
fleurs sauvages sur le corps intact
ebène radeau dans un style suprême
et la nouvelle ne sera que théorème.
In der ewige Baustelle
fand er das Ende seiner schnellen,
schwarzen Sternen. “Ach, im See zu sterben.
Der Himmel konnte nicht mir
etwas besser geben.” Neben
die Bäume, unter
die Wasser standen
seine Gliedmaßen niedergelassen.
No fond farewell for him, my friend
for I am not waving,
not even drowning
but standing here, frowning,
Still looking for sense in a meaningless end.
id
fine d’un discorso che non c’è stato
vuol dire andare avanti per sempre
è oltranza che sfida la lingua
a cercarne i punti fermi
se parola è dovuta
ma labbro sta muto.
Cosa diremo a
fine verso,
nascosti
dove
id
sogna
potente
ma perdente
in questo gioco,
se vince il più sveglio.
È forse meglio star qui
sulla carta sgualcita dal
segno del pianto e del riso e del
testardo incostante cercare una
chiusura arbitraria che non è una
Necrologio
Sono morti i santoni dello spirito
schiacciati da necessità sociali,
legali, dai cardinali pedofili
e dal mucchio di merda che regola
la vita di noi nati nei novanta.
Così tanto da imparare, eppure
non abbiamo capito ancora un cazzo.
Le candele si son spente una ad una
e nessun profeta è rimasto in città
a porre un senso al tempo che ci avanza.
Ci restano i maghi della finanza
dicono loro: lavora! E stan lì
a insegnarci che lagnarsi non serve,
se non a promettersi altro dolore.
(Noi, testardi, continuiamo a vedere
sprazzi di vita tra le stelle nere.)
Urbana latrina
Tranquillo, viandante, se ti chiedi
quale sia l’incanto che si nasconde
dietro la poesia: non è tanto importante
e nemmeno io te lo so spiegare.
Se è inutile, perlomeno, senza particolari congedi,
dietro questa mia -che ne vedrà altre mille, di vesciche vagabonde
puoi finalmente calarti le mutande
e correre a pisciare.
Antitautologia
Andare
a
capo
dopo
ogni
cazzo
di
parola
o due
-ma anche tre-
non
è
poesia.
Queneau
C’è un piccolo capolavoro in cui vivo,
provinciale ed incompreso:
possiedo novantanove paia di scarpe
ma tutto ciò che la gente si sente di dirmi
è di buttarne via novantotto.
A Queneau nessuno ha mai dato dello schizofrenico.