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Troppo spesso vi invidio.
Invidio la banalità con la quale siete vivi,
invidio la semplicità con la quale siete felici,
invidio la facilità con la quale siete innamorati.
Dentro di me si agitano turbini oscuri che mi divorano
costantemente. Se possedessi un poco della vostra abilità nel
dissimularlo – non vorrei mai elevarmi al di sopra di voi, come potrei
io, io, proprio io, ultima tra gli ultimi – sicuramente riuscirei
non dico ad appartenervi ma perlomeno ad
emularvi, ecco, forse mimetizzarmi
tra voi è il mio più grande
desiderio,
credo.

O
forse,
semplicemente
desidero un salotto luminoso
la domenica mattina, un mazzo di fiori
odorosi, magari giacinti, non li vendono quasi
mai dai fiorai, anche se un mazzo di fiori non necessariamente
implica un fioraio, potremmo essere noi che un pomeriggio
di maggio prendiamo la bicicletta e saliamo sui colli,
cercando giacinti, come quando da piccola
con mio padre raccoglievamo tulipani,
che però non profumano, dovrei
tornare indietro e
cancellare
ciò che è sbagliato, ciò che non c’è più.