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Non cronico ma subacuto

Mi sono detta mare e ti sei dichiarato foce,
ripetilo più piano che non l’ho capito
quel quadro
l’ho fissato a lungo mentre cercavi le scarpe
quelle giuste per scalare
mi hai poi portata in cima
e non me l’hai spiegato.

Non mi hai mai spiegato nulla
se non scialbe strutture dei carburi,
avremmo voluto piuttosto dormire
ma restavamo svegli
con sempre in mente un piano
o tre tra cui scegliere, guardami
abbiamo gli stessi occhi come specchio,
riflesso del dolore
prato su cui ha piovuto
dove non si distingue l’erba del fango,
così simili.

Un’ultima sigaretta?
me la leggi anche stavolta
la voglia che ho

di fare tutto
e non avere la possibilità
di fare nulla,
dobbiamo correre
siamo in ritardo
di qualche minuto e troppi anni,
non abbiamo tempo
voglio andare più veloce
e la corsa è lunga.

Sei solido, più della Terra,
e io che mi disciolgo
vorrei ora evaporare
come da sabbia asciugata dal sole
dopo una mareggiata

lasciarti riva sicura
e divenire confuso ricordo de
l’intenso e fugace
irripetibile.

Volevo solo pagarti la vodka quella volta
ma io più bevo più ho sete
e siamo ancora qui,
tu resti con me
che sei acqua
resta per me
in una qualsiasi forma.

rubi i contorni
delle mie fotografie,
soffi via
i ricordi frantumati.

quando riuscirai a capire
che le lacrime corrodono i sorrisi?

piovono gocce fredde
dai tuoi candidi occhi stanchi.
osservi, implacabile,
l’anima mia inquieta
e giudichi ogni istante
il peso dei miei sospiri.

portami per mano
in un campo di girasoli.

ci faranno compagnia,
avranno volti.
ci mostreranno dove finisce il mondo,
avranno il coraggio di ammettere
il segreto del vento.

e se saremo soli,
avremo fallito ancora.

D’altronde

I treni ad agosto più vuoti del normale
se ne vanno di fretta come quel temporale,
che la malinconia ci piove in gola, incessante .
D’altronde,
chi ci vuoi mai trovare ad agosto,
quando tutti sono al mare e tu in mezzo a un bosco,
chiusa in una foto ed io nemmeno ti riconosco

Aiutami a ritrovarti

Ci dev’essere un modo

per fissarti

come capolavoro

nella pietra.

Nemmeno poche parole

perfettamente allineate

o degne abbastanza

di te parlerebbero.

Ma fosse oro

che ti impersonificasse

e ti rendesse unica

non è come la vita che mi hai creato dentro.

Tutta la mia vita, per te,

mia dolce musa,

varrebbe questo incanto

che mi hai donato.

Solo per te, sommità dei miei pensieri,

avrebbe senso vivere

per sentire che esisti,

e affrontare un mondo

che mi chiama per ritrovare in lui, te.

Per questo, non essendo con me,

il mondo brucia e muore,

come sono morto io dall’ultimo tuo sguardo,

ma aiutami a ritrovarti,

e ad uscire da questo cuore,

per sorriderti ogni volta

quando incontro qualcuno fuori o piove.

Se tieni di un brivido le saette cirriformi

Forse beato dormi

chissà se tieni di un brivido

tra le mani le saetti cirriformi

ricoverate in un cristallo timido.

Fugace mi vien da ricordare

di quando la tua mano mi portò dentro

lenta mi trascinò nel florilegio del tuo estro

e senza attesa mi si spezza lo sguardo

nuociuto da un lego dinamitardo

Non mi trovo, dove sei?

Sette fiori ermetici

Astro

sento

Vento

mordi

Fuoco

nuota

Ferro

fermi

Vento

siede

Nulla

bruci

Penna

tuona

Suoni

cuoci

Verso

tuona

Sette

fiori

L’odore dei mesi

Sei l’ombra a luglio

il camino a gennaio

la luna a marzo.

Sei l’arancione di maggio

casa a dicembre

la malinconia di settembre.

Sei la sfrontatezza di agosto

l’irruenza di giugno

la tiepidezza di aprile.

Sei armonia a novembre

i baci sulla fronte a febbraio

nei miei angoli ottobre.

Le tue scivolose soglie

Sei come un’anastrofe

al tramonto

con la luna stesa su un tappeto persiano

tra un iperbato e uno sguardo di foglie

tra le mie costole e le tue scivolose soglie.