Troppi attimi
i tuoi
sono quartieri ora
Troppi attimi
i tuoi
sono quartieri ora
Lasci che la testa mi penda giù
che il lampadario mi inghiotta le vene
che le nostre rugiade siano
tremendi asintoti.
L’inchiostro si suicida
ogni qual volta tento,
celeste come la rugiada,
di delineare il mescolarsi nostro,
un mescolarsi malsano
perché fuggitivo, svelto, ratto,
seguito compulsivamente da
uno scindersi, da
un ergerci le mura.
Stai tranquillo,
le vedo le tue ombre,
le vedo al buio danzare
e formare ellissi argentee.
Stai tranquillo, tranquillizzami
non ho paura di lobotomizzare le mie e le tue
agonie.
E tu? Tu mi porti a spasso tra le tue ombre?
Un etto dei tuoi sogni
per Natale
Un chilo dei tuoi bronci
al posto del sale
Diciassette lune dei tuoi astri
per i miei scudi
Infinite dee dei tuoi sorrisi
per i rami spezzati delle mie paludi.
Quando per strada
senti
un malinconico odore.
La vita è composta di cantilene:
“Ciao, come stai, tutto bene?”
Così tante parole,
vanamente evocate,
emergon da gole
e da menti ingabbiate
in un ampio ed effimero formulario.
Questa vita è una grande altalena
– sale, scende, scende, sale-.
Cosa significa fare del male?
Tagliente,sfuggente,del firmamento
ti neghi un sorriso più dolce
fatto con lo sguardo inclinato
e il cuore vago sospeso tra la spalla ed il collo.
Tangente, dirompente, dell’irraggiamento
ti lasci scorrere per ripide scale musicali
ti lasci correre armonie languenti per gli occhi.
Splendente, un torrente, del talento.
Questa vita
il mio fegato ancora non la regge
dal cibo all’alcol al degenero umano
nella più bassa concepibile qualità
sono decisi a farmi ammalare
contorcere e piegare
senza un amore che mi protegge,
solo, sciogliermi nelle tenebre del sesso
in fiumi carichi di lacrime, affogandoci spesso.
Della rabbia brutalmente concepita,
nella lotta contro ogni legge,
nello sguardo sfuggito della donna favorita,
vedo solo polli che non sanno volare
beccare mangime senza dignità
in questa cella senza cantare
in questa gabbia senza via d’uscita.
Occhi. I tuoi, i miei.
Riflesso, dei miei, dei tuoi.
Non sono io, sei tu.
Labbra morbide, per te,
pelle chiara
sole rosso
palpitazioni del cuore sempre infranto
bagnasciuga mutevole allo scontrarsi delle onde
piedi freddi.
Occhi. I miei? No
Voglio vedere solo i tuoi, i tuoi, i tuoi
che guardano i miei
sanno delle mie labbra
delle mie reazioni alla diversità
che piangono di felicità.
Sono solo un guscio di una conchiglia
sbatacchiata, che cerca qualcuno che la abiti
prima che si rompa senza aver accolto qualcuno fino in fondo
alle sue viscere, indistruttibili.
E se l’avvicinerai all’orecchio sentirai una voce silente
che ti chiama, ti chiama, ti chiama con la voce del mare,
sparsa dal vento, per innumerevoli valli, cadendo a terra
trascinata dai fiocchi di neve.
E per sempre il desiderio di te vivrà in me.
Scivola
su ghiaccio quadrato
Tanqueray e acqua tonica.
Oban Single Malt
o rum guatemalteco.
Accompagnerà dopo.
Lucida nella visione
una barista
dai seni abbondanti
che mi bacia
con la lingua.
In bocca
sapore di fumo.
Gli altri ricordi
corpi
e tu
che mi mordi.
Si opacizzano
tutti
in un romantico
(fatale)
senso di nausea.