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Iris

I tuoi occhi sono per me il filtro

delle mezze stagioni,

Iris, che sei vita per la vita,

verde rinascita dalla terra,

petalo su petalo,

sei un passato circolare

e puoi fermare il tempo,

clessidra delle mie ricorrenti primavere.

Sei una bambina dagli occhi grandi,

pieni di tutto quello che possono amare

e di pianto,

sei la libertà del mare di andare

e tornare,

l’anima legata al corpo

da una sottile cordicella,

come un palloncino

e a volte mi sfuggi in me stessa,

troppo semplice per essere comprensibile.

E sei così bella coi capelli al vento,

tu che non conosci paure

e le labbra piene di emozioni,

sei tutti i colori che non posso vedere,

le sfumature del mio profilo,

inafferrabile, come l’acqua,

trasparente

e non ti fai domande,

perché sai ritrovare la bellezza perduta

in ogni respiro.

Briciole

La mia anima è un grissino

e tu sei sottile come una ragnatela,

cado preda della tua trama,

appiccicosa non di miele,

ma di paura

aspetto

che tu venga per divorarmi

o risparmiare i miei peccati,

ma non giudice

ti voglio

diverso dai ricordi,

per ricordarti.

Amore, lo chiami?

Un amore omeopatico,
amore lo chiami?
Dammi del caffè amaro, amore,
senza zucchero, né lacrime,
un caffè macchiato semmai,
fumante d’amore e pensieri.
Non posso perdere le mie vesti
o le mie libertà
ora che sono mie per la prima volta
e non voglio un anello o una certezza,
regalami un fiore piuttosto
che costa meno
e dura quanto basta.
È successo così in fretta,
m’hai travolta come foste in mille,
ma quanti siete davvero, amore?
Qualcuno di voi ha forse fatto lo sgambetto?
Perché io sono inciampata
e ci sono caduta in mezzo,
in mezzo all’amore,
e non fa male, cadere nell’amore,
chiedi, amore?
Non più delle altre volte,
un po’ come una botta in testa
e non sai più che fare,
chi amare o come amare.
Un bacio e passa la paura,
ma se è proprio di un bacio
che ho paura?
Bella fregatura!
Ora voglio solo aspettare
e tornare in me, che non è poco,
perché non posso forzare
o accelerare ciò che par normale,
non ti pare?
Mi compri del gelato
che ho fame d’amore, amore?
Al pistacchio e come vuoi
perché non so scegliere lo sai
e più ci penso e meno so
e meno so e più ci penso,
un vizio il mio, amore,
il vizio d’amare e rimuginare,
ma dimmi, ora, se puoi restare,
se son già pronta ad amare, amore,
ad amare ancora?

Imprevedibile

A S.

Parlami, parlami,

dimmi cos’hai,

è un segreto, un groviglio,

un disturbo, un sorriso,

è il diavolo in paradiso,

è il delirio della mania,

il fascino decadente,

non è niente, niente.

Sono un filtro di emozioni,

guardami, guardami,

ma non troppo o troppo a lungo,

potrei caderci nei tuoi occhi

e farmi male

col marasma che nascondi,

la rabbia che assottigli,

di notte, alla luna, un riflesso,

la tua anima impazzita.

Pensami, senza ossessioni,

senza doveri, né schemi

e mostrarmi i tuoi fantasmi,

ma fallo piano, alla luce dell’alba,

non al tramonto, non su una barca,

fallo senza rancori

e poi urlalo, urlalo contro il vento,

per liberarti, io sono qui dietro

e se parto, resto.

Cercami tra le nuvole,

nelle espressioni dei passanti,

tra le poesie, tra i libri prestati

e scordati, tra i profumi intermedi,

tra le righe sfumate, sbiadite,

cercami dietro le case vecchie,

in un campo fiorito

o su un ponte di pisa,

in attesa, in attesa d’esser trovata

o capita.

Fermami, se ti ricopro di colori

o di dolcezza,

perché è un eccesso la mia vita

ed ho paura di travolgerti

con le mie mille anime,

di farti perde l’equilibrio,

il cinismo, la ragione.

Io posso aiutarti, non salvarti,

sciogliamo quel cappio,

quel dubbio futuristico, filosofico

e rompiamo la morte

e le balle della gente,

ascoltami, ascoltami,

per una volta ascoltami davvero

e scappiamo lontano, lontano,

ma non innamorarti, non farlo mai,

non stringermi con possesso,

amami come due vecchi amici,

come una disarmonia bellissima,

come una malattia che scompare,

come la solitudine del deserto,

come un tuffo in mare aperto.

Sei qui

Sei qui,
non c’è altro,
sei qui,
nessuna porta da aprire,
da sbattere,
solo l’aria,
sei qui,
l’esistenza in un punto.
Sei qui
e non manca più nulla,
non c’è da far la spesa,
da contar le lacrime.
Sei qui e ascolti
pensi, parli,
sei qui
e ogni parola è un antidolorifico,
un gradino per risalire.
Sei qui
e mi salvi,
salvi un intero universo
che nascondo nel vuoto che c’è
tra i miei atomi.
Sei qui
e mi capisci,
mi conosci.
Sei qui,
non devo aspettare,
sei qui,
posso sfiorarti,
posso raccogliere i tuoi abbracci
e metterli in tasca.
Sei qui e non ti nascondi.
Sei qui
e m’aiuti a crescere,
vivere.
Sei qui,
mi guardi, mi porti un sorriso,
uno spicchio di paradiso,
sei qui,
forse la felicità.
Sei qui
e ci sono anch’io,
perché sai come,
quando
non farmi cadere.
Sei qui.

Buio

Era così buio

a quell’ora della notte,

che le stelle avevano paura

di disturbare,

di luccicare.

Smettere.

Smettere di tremare

come le candele,

che non ci sono mai

quando la luce muore.

Un torrente d’oscurità,

a quell’ora della notte,

tutto dormiva,

tutto scivolava chissà dove.

Ed io restavo,

vigile nell’ombra,

vittima dell’ombra,

ed era così buio

a quell’ora della notte,

così buio.

Era lì che finiva

Era lì che finiva

ciò che non sarebbe mai iniziato,

sul ramo della notte,

ed io come un’arpia

a ricordar quei momenti

che non avevo mai vissuto.

Gli scheletri nell’armadio

Imparerei a sorridere,

se potessi seppellire quegli scheletri

che solo io conosco,

che mi vengono a cercare

di notte

e si nascondono dietro al tremolio

di finestre che scricchiolano, di porte che sbattono.

Volano

fino al mio letto

e nei miei sogni

bisbigliano rumori indistinti,

battendo velocemente quei denti morti

per dirmi qualcosa,

ma non esce alcun suono

da quelle labbra inesistenti,

eppure io intendo

quel che ho da ricordare

e ho paura

e non posso dirlo a nessuno

e nessuno vuole sentirmi.

C’è la mancanza d’un amore

che mi corrode le ossa

e mi riduce a scheletro

vivente

ed ogni lacrima che cade

è una sconfitta,

è un segreto che m’uccide

e nessuno sa che potrebbe salvarmi

anche solo gaurdandomi,

parlandomi di sè e lasciandomi entrare

nel suo mondo,

perchè nel mio

si muore.

Salice dei miei anni

Le sconfitte ricadono su di me,
piegata da desideri occulti
e paure innocenti.
Irruenti tutti quei baci
buttati,
succhiati, sputati.
La pece scorre nelle mie vene,
primordiale malattia,
l’anima di ghiaccio mi corrode
i pensieri più semplici e disonesti,
e brucia il mio cuore, di carta.
Cade cenere sulle dita,
vola via.
Il passato oltrepassa il tempo.
Abbandonarsi, morire.
Radicarsi, rinascere.
Non posso più sognare splendide delusioni,
deliri d’estate.
Cosa mi resta?
Mille volti, mille volte
ferita in mille modi.
Sempre diverso. Tutto uguale.
Tre note d’arpa sul fondo dell’oceano,
mai suonate, acerbe,
perdute e dimenticate
nella eco di abissi infernali,
dove mi cullo, prima dell’alba,
prima di andare.

Vorrei tornare

Vorrei tornare a quando ero bambina,

prendermi per mano

e dirmi che tutto andrà bene.

Vorrei potermi abbracciare e sorridermi

nel passato,

nel presente che passato sarà presto.

Vorrei dirmi che me la caverò con poco,

vorrei dirmi che vivrò di passioni,

di attimi che rinverdiscono il dererto dell’animo,

ma subito si dimenticano.

Vorrei sedermi accanto e stringermi,

piangermi addosso per quello che non so,

che ancora non so.

 

Dovrei dirmi di vivere il più intensamente possibile,

che la fantasia farà presto a scappare,

che la spontaneità farà presto a finire.

Dorrei dirmi di non pensare tanto,

di non aspirare alla crudele perfezione

che mi attrae e mi uccide.

 

Non mi dirò che m’abboffo di tristezza

per esser felice,

che mi cullo nell’illusione per esser me stessa.

Non mi dirò che non avrò mai un posto nel mondo,

che non mi riconoscerò mai in niente,

ma che sarà il niente a riconoscersi in me.

Non mi dirò che ogni stanchezza,

ogni vecchiaia,

ogni criterio instabile,

rendono la vita difficile,

insopportabile.

Non mi dirò che a poco a poco

tutte le cose perderanno il loro profumo

e il loro colore,

la bellezza della semplicità.

Non mi dirò che l’inutilità

si trasferirà nel mio letto,

che c’odieremo segretamente sotto le coperte,

ad ogni fine giornata.

Non mi dirò che ucciderò la bellezza,

più volte,

quella esteriore per prima,

poi quella interiore,

lentamente.

Non mi dirò che avrò paura della solitudine

che la morte sta sempre davanti

mentre la vita le corre dietro.

Non mi dirò che perderò il senso di ogni cosa,

che la pesantezza si trasformerà in malinconia,

che un’infinita attesa diventerà la pace.