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Della vita deserto da abbattere,
tragedia di luce sospesa.
Fai fuoco su un fuoco appassito.

Della vita tempesta.
Di tempeste e di notte
quel battere e levare,
quel battere levare
che ci dice la morte.

La Morte che vinci
all’ombra di queste mani,
nel porto di questa attesa:
di battaglia vera,
tu,
la resa

In questa notte la
mia notte:
il maroso del tempo che albeggia stampato.

Un ricordo ammainato alla terra,
sono visione riemersa.

È il vessillo alto e corrotto che inabissa

Dal fondo

Dal fondo
mi porti a cadere
e le vinci queste mie radici,
il laccio che mi lega a questa terra
e al sangue umano.

Quel mandare a morte un amico,
quel vuoto strozzato di luce
di fango
che rivivo ad ogni discesa
e che chiamo amore.
Quella paura di non riaverti,
di non riaverti in fondo al tuo tatto:
in quella voce che tu urli,
che chiami
Amore

Il mio funerale
la folla
il mio resto esiliato dietro di me
e una distanza che non torna
che non si placa
come un respiro
non si plasma,
non dimentica.

Solo un’onda questa,
solo anomalia
la mia, la tua ombra
che rigetta e non santifica
che punta alla gola

in punta di vuoto