Posso amarti con le mani
meglio delle parole
farmi terra e sentire la tua pelle
come il più bel frutto in bocca
mai fuori di stagione
posso amarti come il primo sole
e il tuo pensiero di avermi addosso
persino nel silenzio
nell’alba muta di questa strada
nella discesa fatta di sassi
nelle curve delle nostre montagne
posso amarti nella spirale
che fa un tronco di un ulivo
contorto
e disperso nel Gargano.
F.87
Sta nelle stragi delle parole
nelle risse verbali
nelle bombe di disprezzo
Nei lacrimogeni caricati ad astio
sparati a casaccio
per disperdere piccoli gruppetti di tranquillità
Nelle coperte usa e getta di antirazzismo
Nei crateri di solitudine che scaviamo
con i nostri cucchiai da assaggiatori द्i vite
con quegli sguardi sempre accigliati
di chi sembra che il mondo l’abbia fatto lui
Sta nella nostra sicurezza
nel grasso schifoso che odiamo
se ci spunta all’improvviso davanti allo specchio
sta nel grasso schifoso giallo
e nella condanna di chi se lo porta addosso
Sta nelle apparenze a prova di click
nei giubbotti antiproiettile del web
nelle parole sparate a salve
le amicizie a distanza
le adozioni solo per chi è ricco
Sta nei sogni da grattare nei tabacchi
che finiscono a riempire i marciapiedi di carta
calpestati
nei tabacchi che puzzano di riscatto
di perdite di salute
di perdite di tempo
Sta nel rifugio atomico anti-persona
chi ci stiamo costruendo giorno dopo giorno
per restare sempre più soli
per stare sempre
forse meglio.
È tutta un’altra realtà
un’altra storiella
un’altra religione
sono le ennesime etichette
che ti incollano addosso
ma non sei tu
in tutto quello che ti dicono
non ci sei tu
a volte l’hai pure sperato di essere sleale
l’hai pure sperato
per trovare conforto nella soddisfazione altrui
per definirti nell’immaginetta sacra del traditore
ma finisci per non esistere più in nulla
come una cappella vuota in un cimitero
senza misericordia
una cosa di passaggio
un segno della croce mosso dall’abitudine
la speranza che tu sia proprio quello che non vogliono
li nutre come l’ostia la domenica
l’esempio da non seguire
il Giuda quotidiano
pronto a chinare il capo
a buttarti in ginocchio
sulla panca della loro chiesa
ad ammettere che hai sbagliato
a dire: mi dispiace, ho fatto male
perché il mistero della fede
del tuo essere pessimo
lì farà sentire beati
nella misera grazia della loro vita.
Pensa agli altri
Siamo fortunati
Penso agli altri
Siete fortunati.
Quando gli occhi si chiudono
nello sgabuzzino, più dell’abbastanza
e il cuore si apre come la porta di casa
lasciando vedere a tutti quello che c’è da vedere
scoprire il disordine
che hai lasciato
in cui ti sei obliato.
Quando ti chiudi da solo
sul balcone dei tuoi pensieri
le voci vanno a dormire
insieme alla notte
gli uccelli iniziano a cantare
fino all’arrivo della prima auto
fino a quando capisci che sei lì
solo mentre tutto il resto dorme.
Vieni come la benzina sui rami secchi
ustionami e poi vieni come l’acqua per i fiori recisi
Non ti maledirò mai
anche quando sarò morto.
Tu hai espugnato il tormento e l’hai spezzato in spalle curve. Sei un piatto di ceramica decorato sapientemente di fragilità e ghirigori di aspirazioni. Tu finisci le giornate in frantumi nelle stanze in fitto, sui pavimenti che spesso sono la cosa più bella di tutta la casa. E le cose ti stanno andando pure bene, ti dici che stai bene; cerchi in uno sguardo la forza per risorgere, e trovi la mattina in un profumo. La forza per risorgere e odiare la sveglia, ancor prima di tutto quello che ti costringerà a fare; per campare e comprare. A tralasciare gli affetti per creare famiglie allargate agli analisti o altre che finiscono in tragedia. A odiare i soldi, anche quei pochi che guadagni: perché fanno schifo, perché hanno rovinato il mondo. Come dice quel tuo zio lontano, che fa il barone all’università di Universitalitopoli. Un po’ in là con gli anni, si fa crescere ancora la barba perché quando l’ha fatta lui, l’università era ancora di sinistra. Tu sei nelle carte che strisciano e nei soldi di plastica. Nelle discussioni sui bitcoin che faranno esplodere il mondo. Dire baratto è diventata una cosa cool. Tu sei in quel gesto di pagare con carte di plastica, senza la speranza di potergliela far pagare. La rivoluzione è finita nelle buste di plastica, che neanche si rovinano se si bagnano col sudore. Che prima gettavi o utilizzavi per buttarci altri rifiuti. In un cenacolo di anni divisi per turni; pacchetti da 8 ore e le ferie non pagate, che ci prendiamo per stare con quel profumo che ci piace. I ricordi, almeno quelli, finiscono nell’assegno pensione. Tu sei nelle file alle Poste, ad odiarci come fanno i giovani e gli anziani. Perché siamo troppo veloci o troppo lenti ad accorgerci di quello che ci aspetta, ad accorgerci che tu non aspetti. A finire di consumarci, a finire come quel posacenere sul tavolo. A finire sfumando, come le peggiori canzoni anni ’80. A finire a tu per tu col tu.
Questa è la volta giusta
questa volta si fa come dico io
questa è la volta che non lo rifaccio più
la volta che dico a mia madre
che mi ha fatto un buco nella memoria
ma mica riesco a odiarla.
Questa è la volta che si può fare
che fa rima con lasciarsi andare
che resto in casa per non bere
e scrivo di quella volta
che ho smesso di fumare
di quella volta che mia nonna cercava quell’orecchino
regalatogli da mio nonno
lo cercava col respiro impegnato
come se avesse perso la vista
lo cercava come se le mancasse l’aria.
Questa è la volta della luna nel pozzo
che guardi l’acqua
per vedere quanto puoi andare a fondo.
Possibile che ci abbiano creato per preoccuparci
anche quando siamo al parco
perché potrebbe sempre cascarci un figlio dall’altalena
o siamo solo diventati paranoici psicoattivi
addestrati a stare al passo coi tempi
destinati alla malfidenza.
Questa è la volta della decenza, invece
della calma
del respiro pacato e del gioiello ritrovato
del pozzo, che più è profondo
più vuol dire che c’è acqua.
Però vi giuro, si vede
lasciatemelo dire
che questa è quella volta
che avete tutti una gran sete.
Una rumore ci danza nella testa
mentre dormiamo
ci sfoca lo sguardo
mentre zoppichiamo per strada
in confidenza con la vulnerabilità
camminiamo sul vino
e tutta questa città piena di luci gialle
che, vi assicuro
è romantica come annegare nell’oceano
senza mai incontrarci
se non al bancone di un bar
in questo bungee jumping di bicchieri
in questo mercato di sorrisi
e di separazioni
il rumore che continua a danzare
noi che proviamo a farci sorprendere
dalle differenze
troviamo l’abilità nel disinteresse
mirato
antica arte della difesa personale
sfuggiamo alla lavanda di mani
condannati a sentire il mondo
e a vederlo
con tutto questo rumore.
Cavernicoli
alla scoperta del fuoco
affiliamo la barba come una lancia
l’automobile e le velleità
come la punta di una freccia
da conficcare nella testa di una donna
per convincerla e ucciderla di parole
sperando che dalla testa si scenda
scivolando sulla pancia piatta
per farle sentire i brividi sui fianchi
percorrendo il sentiero della pelle
si scavalla il monte di venere
e si arriva al cuore della questione
alla base della piramide
alla mela del peccato:
che il fuoco è tutto lì
e noi siamo solo la preda.