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A me, ricordamelo

Non ricordo il tuo nome,

non ricordo le tue parole,

quale fosse il filo che ci conducesse.

Ripercorro attimi contando le cicatrici,

tentando di rimuovere la nebbia

da foto volute troppo opache.

Non siamo mai stati nostri,

non sei neanche mai appartenuto a te stesso

col tuo piacere nel perderti,

darti a quello che appare, alle mode,

alle urla e al peso delle parole.

Ho avuto la presunzione di tentare,

di provare a saggiare quello che fosse questo tutto

e le mie mani hanno stretto altro fumo.

Ma Questo era tutto.

Fin troppo o non abbastanza;

mi sono voltato,

la tua mano scesa dalla spalla,

il respiro meno pesante.

Ho plasmato la tua presenza
alla mia stessa esistenza,
nutrito le speranze,
alimentato previsioni,
giochi di sguardi,
clandestini piani di conquista.
Ho sbagliato il capo della mia scommessa,
la ruota, i numeri, il giorno.
Ho puntato sui miei sbagli
ha vinto la delusione
ma ormai profuma di casa.

Non c’è niente che rimane,

sono troppi da chiedere

qualche prova, segno o resto

o semplicemente il profumo anche acre

di un ricordo.

Non ho niente in mano

che dimostri il colosso di sensazioni

la madia piena di niente,

colmata cozzando interessi, sguardi e messaggi distratti.

Io non ti ho mai visto,

non dal vero, non con veri occhi

e ti conosco per sentito dire

attraverso parole, sogni non verificati.

Chiedendomi cosa c’è in comune che ci appartiene

ho risposto: un niente da riempire

per sfizio, piacere, forse anche simpatia.

Non ho niente tra le mani

perchè ho un niente da riempire.

Eppure qualcosa si è creato.

Sono rimasto solo alla stazione,

e come una prefica

guardo chi parte solo andata.

Nell’atmosfera impregata di addii

rimbomba una centrifuga di chiacchiere

che travagliano, povero, tutto questo vuoto

riempito dai telegiornali che urlano,

dalle corse alle armi.

I familiari inculcano le litanie

da raccontare alla prossima nascita,

un film che mi contiene,

che contiene tutti:

Ode ai “bisogni d’oggigiorno”.

Ho provato a interrogare gli esperti,

una qualche tessala o poeta,

li ho raggiunti negli orari di apertura,

su questa folla che si lusinga agli autoscontri

che riempie il tempo prima della fine

e non la vede già al proprio fianco.

Ma la Tessaglia è Grecia e i poeti chiudono baracca.

Amano tutti i festoni

della scalinata al successo,

dei talent (“Chi c’era ieri?”).

Siano ben informati che in una casa senza finestre

si affoga nella propria polvere.

Mentre ero in treno ho scritto una poesia,

non era nostalgia,

spossatezza, spleen,

è venuta di getto,

era già lì.

Ho solo pensato a chi ci fosse

oltre il finestrino,

le città scure

e soprattutto oltre il mio riflesso

che ha offuscato tutto il percorso.

Si stava facendo sera

era già tardi.

Alla fine del viaggio,

all’ultima stazione,

sconvolto sul treno

ho scritto questa poesia,

eri te.