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Più piccole cose

Non è propria dell’autentico tutto
questa finitissima e miserrima
Vanità delle più piccole cose
È tutta umana e dei piccoli uomini
È paura e solitudine insieme.

Non chiedetemi
Non mi accontento
Non voglio altro
Che tutta la mia vita
qui tra queste mie mani.

Se è vero che una si vive
Che sia infinita
Perché finita in ogni istante

Muto al buio salgo in casa.
Vuoto intorno, il tavolo sgombro e io d’ingombro.
La tua maglia sulla sedia:
Mi metto da parte ché son di troppo.
Fili sottili di me sparsi
I capelli tuoi che trovo

Di nuovo addomesticato e randagio
Stanco per il nuovo vagare
Indugio su tracce sperate

Ma a casa davvero son stato solo
Lì tra le tue braccia stretto
Ancora dopo anni ancora ora

Ma ancora di notte sento
il passo di piedi leggeri
nudi che schiacciano secoli
di logiche consistenti, formali;
filosofie e opinioni, autorità e ogni fede:
si sciolgono esanimi
le riduzioni razionali.

Il pensiero è un sentiero di sensi
che scorrono tra sassi e felci, selvaggi
d’istinto come saggi animali estinti
a te tutti diretti e rivolti.

Lei è la mia Ištar

Se vuoi, viandante, sapere cos’era la nostra sostanza
cerca nei segreti dei bassorilievi di Karnak
e nelle equazioni della tecnica scienza. Avanza
nel tempo e nel silenzio assoluti del Sahara:
immergiti in sorgenti termali selvagge.
Della prima gemma della primavera chiedi al coraggio
e all’ostinazione dell’ultima foglia dell’autunno:
semi della forza del ritorno.

Vivi di estatica scomodità. Lei è la mia Ištar.
Guarda ad Ares e Afrodite ed Armonia loro figlia,
Ma anche e di più a Dino e Sibilla.
Guarda e pensa che non furon soli
nel loro folle furioso fortunale.

Basta essere gigolò, prostitute
di sé, vendersi in un gioco di parti
ad uso gastronomico degli altri:
turbine d’aspettative abbattute,

per le proprie menzogne combattenti.
Mi disse una volta un vero grande uomo
non giudicate e non sarete giudicati,
pensateci, voi di questi occidenti.

Rifletti, tu sai che almeno una volta
hai valutato altri esistenti solo
per tuo utile: nostro unico dolo
è misurare lo spirito tolta

la sua infinitezza. Oggi io t’abbraccio
chiunque tu sia, abitante del mondo,
andiamo avanti, uniti fin in fondo
i nostr’Io, tesori tolti d’impaccio,

l’uno verso l’altro accoglienti.
Voi tutti siete il mio unico fine.
Mai siamo di valore possidenti:
condividiamo il valore stesso, noi.

Pioggia d’estate

in ogni momento gocce a terra;
gli spenti pensieri miei a te.

Ho visto i tuoi capelli
venirmi incontro per
la via di casa
un vecchio cane
e la cassetta delle lettere
sempre vuota

Le ore degli uomini

Piangere tantissimo
e ridere altrettanto.
Amare soprattutto
e con ogni fibra del mio corpo
essere amati
ed in questo tutte le cose
ch’ho fatto.

E che importa adesso
del tempo che rimane?
Lasciatele pure passare
queste ore degli uomini,
al tempo non importa
di numeri o nomi.
Il tempo non passa:
era tutto lì, in quegl’istanti.
A questo punto, direi,
potrei anche andarmene
felice.

 

Quanto si è strani?

Quanto si è strani?
senza te tossico amor mio
con questi dolori abissali:
mi perdo sul fondo
li accolgo piangendo
si uccidono da soli
e mi scopro nuovo.

Cammino per strada di sera
immerso in percorsi introversi.
Un centinaio di universi
mi scorrono accanto.
Torno a casa stanco
e felice.

Un cielo vuoto

Datemi un cielo vuoto
vi prego
al di là del bene e del male
della gaia scienza
e contro il metodo.
Fenomenologia di uno spirito
che non c’è,
acritico di ragioni pure
ed impure
sopra di noi
bestie trionfanti.
Datemi un cielo vuoto
sì, vuoto come sono
eppure pieno
essere e nulla.