Aveva poca pelle su quelle ossa fragili,
spesso ricoperta d’inchiostro
o nascosta da una moltitudine di riccioli scuri.
In primavera metteva damascate camicie di seta,
nelle altre stagioni non ci incontravamo
e non sapevo nemmeno se esistesse in autunno.
Non ho ancora trovato un aggettivo che lo definisse:
innegabilmente conduceva una vita piuttosto punk
ma senza borchie o Sex Pistols.
Una volta tirò in aria un Negroni nel cortile del Monk,
una notte mi abbracciò facendomi volare e mi diede un bacio;
lo guardavo in silenzio cercando di leggergli dentro.
Ero invidiosa della sua vita,
i suoi ritmi, la sua musica, le sue ossa,
le sue Marlboro rosse che per me erano troppo pesanti.
Credo di averlo visto quattro volte in totale,
ciò nonostante mi disse che ero una delle poche persone
alle quali pensava di piacere davvero.
Non mi stupirei se lo trovassero morto tra un paio d’anni,
non so se mi rattristerei;
aveva le labbra così morbide.