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Io penso esista un mondo
oltre questo e anche quell’altro
che è fatto di parole
di nessun significato.

Le onde lo sanno quel che c’è da fare:
filarsi e colpire,
colpire,
colpire.

Lo scoglio resiste e
dà casa a granchietti,
molluschi,
sirene.

Ma l’onda non teme.
Rifarsi e colpire,
colpire,
colpire.

Sono ancora tempi duri,
giorni brevi e notti buie;
ma quel fiore, sul quel ramo,
lui promette primavera.

Puoi fidarti –
sono anni che vegliamo,
noi che siamo
di una razza frontaliera.

Cuore insisti,
tu cuore
nell’abisso?

Dove prima suonavano le viole
ora è brina

che disarma
che silenzia
     la vita che verrà.

Non credo sia bella quella casa in collina,
dove tutto si vede,
e tutto è distante.

A me pare che il mondo sia meglio da presso,
confuso, com’è,
e volubile al tatto.

Maestro,
io penso sia meglio guardare negli occhi.
E chiuderli anche,
quando è giusto che sia.

Ciò che sa il fiume anche il ponte lo sa.
Ciò che sa il ponte anche il fiume lo sa.

Il suo spirito è stanco.

Ne ha fin sopra i capelli di quelle vie curve,
ricorsive e ricurve, già battute fin troppo,
con fin troppo diritto.

“Lì vecchie domande, e avvilente passato”.
Lo sentite?
Ha dato.
e avuto abbastanza.

E infatti ora basta, ora è meglio che vada –
ora è tempo
di sancire distanza.

(Ora è un passo di marcia,
nella sala, che danza).

Io mi intendo di inutili cose.
Di pretesti, ad esempio,
di pose.
Di tramonti mi intendo,
e di luoghi venturi,
di sillabe aperte,
di tratti insicuri.
Io non mi occupo d’altro,
di nient’altro che questo:
del perché delle rose,
del perché delle attese,
del come, perché
delle inutili cose.

Tirate, ragazzini, sassate contro i preti.
Io tifo per voi.