Io penso esista un mondo
oltre questo e anche quell’altro
che è fatto di parole
di nessun significato.
M.01
Le onde lo sanno quel che c’è da fare:
filarsi e colpire,
colpire,
colpire.
Lo scoglio resiste e
dà casa a granchietti,
molluschi,
sirene.
Ma l’onda non teme.
Rifarsi e colpire,
colpire,
colpire.
Sono ancora tempi duri,
giorni brevi e notti buie;
ma quel fiore, sul quel ramo,
lui promette primavera.
Puoi fidarti –
sono anni che vegliamo,
noi che siamo
di una razza frontaliera.
Cuore insisti,
tu cuore
nell’abisso?
Dove prima suonavano le viole
ora è brina
che disarma
che silenzia
la vita che verrà.
Non credo sia bella quella casa in collina,
dove tutto si vede,
e tutto è distante.
A me pare che il mondo sia meglio da presso,
confuso, com’è,
e volubile al tatto.
Maestro,
io penso sia meglio guardare negli occhi.
E chiuderli anche,
quando è giusto che sia.
Ciò che sa il fiume anche il ponte lo sa.
Ciò che sa il ponte anche il fiume lo sa.
Il suo spirito è stanco.
Ne ha fin sopra i capelli di quelle vie curve,
ricorsive e ricurve, già battute fin troppo,
con fin troppo diritto.
“Lì vecchie domande, e avvilente passato”.
Lo sentite?
Ha dato.
e avuto abbastanza.
E infatti ora basta, ora è meglio che vada –
ora è tempo
di sancire distanza.
(Ora è un passo di marcia,
nella sala, che danza).
Io mi intendo di inutili cose.
Di pretesti, ad esempio,
di pose.
Di tramonti mi intendo,
e di luoghi venturi,
di sillabe aperte,
di tratti insicuri.
Io non mi occupo d’altro,
di nient’altro che questo:
del perché delle rose,
del perché delle attese,
del come, perché
delle inutili cose.
Tirate, ragazzini, sassate contro i preti.
Io tifo per voi.