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Più niente a indicare la strada
alle stelle perdute, e nessuno.
Un nome trovato nel buio –
sia questo l’approdo del sogno.

Non c’è altro oltre il grande orizzonte.

I tuoi vent’anni, ragazza,
non hanno niente dei miei –
il che non è male, dopotutto, per te.
Da fumare? Sì, tieni.
Va bene, ti offro un caffè,
e ti ascolto parlare.

E voilà tutti i tuoi cristallini pensieri,
tutto ciò che hai da dire,
frasi fatte, minuzie,
sciocchezzuole da niente,
a me,
che contengo universi.

Non va e lo capisci.
Questo almeno, io penso.
Nervosa ritiri, ti aggiri alle mura,
cerchi un varco che c’è, ma non trovi.

Ora è tardi, hai da fare?
Io nemmeno ma vado.
Il tuo sguardo non curo,
mentre questo ho per te:
un tranquillo rifiuto,
un sorriso posato,
un gesto
di onesto commiato.

Ci vuole professione
per reggere la scena;
gli stessi lineamenti,
lo stesso vecchio umore,
la tragica impressione
di un copione sempre uguale,
di un finale troppe volte
freddamente recitato.

La notte degli specchi.

I nostri sguardi, fili
intrecciati tra i rami.

Il naufragio era già senza fine.

Come stelle d’agosto,
ci lasciammo
cadere.

Resta, in silenzio.

Fa paura, lo so,
ma è solo la notte,
solo il suo farsi più nera
poco prima di svelare
il suo livido segreto.

Resta. Fa’ piano.

Silenzio.

Un lucido ghigno,
un bagliore notturno,
a squarciare la pioggia
un grido – un colpo
dall’esito incerto.

Tremendo si volse.

La collera
dell’angelo deluso.

Chi conosce, nel tramonto,
già la quiete
della notte più profonda,
è pace,
leggero
                  mattino
                                      d’estate.