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Dedico a Te la tirannia dell’assenza.
A me la confusa logorrea dell’ansia,
l’eterno dubbio della certezza,
l’ebbrezza indomita e il rifiuto
come chiara consapevolezza.

Dedico al cielo e alle stelle la rabbia.
il blasfemo disprezzo per l’uomo,
e ancora a Te la bellezza del mondo
e il perdono.

Il vento ha portato stanotte
odore di olio bruciato, di lacrime e zolfo
di sangue -ne senti il sapore
se schiudi la bocca,
ti resta attaccato al palato.

Siamo noi il sacrificio infame
contro cui ogni giorno lottiamo.

Vi indignerete ancora dai vostri divani
immobili come sterco stantio
sputando banali sentenze
ostentando disprezzo
-fingendo persino di odiare.
Taciti servi, complici inerti,
le vostre colpe sono indelebili.
E comunque tornerà il sonno
a sciacquare le vostre coscienze.

Muto resto ad ascoltare
il mio tacere, lo sproloquiare
dei miei pensieri abitualmente vani.
Ogni parola
soppeserei come se fosse
pagina finale di ogni mia speranza
fossi asceta di una -sempre vana
mia coerenza.

Ci riuscirò un giorno -forse
e se sarà, sarà la morte
oppure dolce
polemica eccellente
sognandomi ancora
silenziosa tempesta.

La prima è stata la libertà.
Quella impalpabile e più pura
mi ha insegnato la parola “futuro”
per morirmi in braccio -a farmi scudo
strangolata dal senso di ingiustizia
che ovunque tutto impregna.

La seconda l’idea stessa
-masochistico gusto a sentirsi sbagliato
perché certo di essere nel giusto.
Ho portato fiero e impavido
i vessilli della speranza e ancora
ho vomitato in silenzio trovandola a terra
morta d’inedia e indifferenza.

Terza, l’abnegazione.
Ho stipulato un compromesso a perdere
stufo degli altri, scoprendomi egoista
-esteta del rimorso- nascosto
in esemplari imperfezioni
e autistiche intimità.

La quarta ciò che chiamo amore,
a nascondere le crepe strutturali
dei pensieri in cui mi rifugiavo.
La quinta queste spoglie mura
in cui ho ucciso il mio entusiasmo.
La sesta un infinito senso di abbandono,
la settima la fatica a ripartire,
l’ottava il vuoto
dentro
sempre.

La nona è la consapevolezza
di aver costruito un labirinto mentale
in cui mi sto perdendo
-la voglia di essere felice.

La decima
spero
sarà un sorriso.

Continui a salvarmi ancora,
a insegnarmi l’assenza,
a definire l’estatica angoscia
dell’esistenza.
In questo presente
eternamente sbagliato
mi hai guidato impavida
nel buio dei miei dubbi
e hai dato loro un nome.

Ora che lo scontro
si è fatto impietoso
conto i morti a voce alta.

Domani tacerà il giornale
come sempre
anche se il titolo è già pronto:
«Oggi un uomo
si è riscoperto vuoto»

Legatemi le mani
e con un masso in testa
e troppi al cuore
lasciatemi nel mare.
La luce svanirà
lentamente
come un’ascesa inversa al cielo
e in quel silenzio
in quel profondo buio
i miei pensieri taceranno
e in quell’ultimo respiro
di quiete
sarò io stesso il mare.

Sia questa menzogna costruita
su misura per ingannare i tuoi sogni.
E subito ti illudi
si chiami libertà.

Non riesco a non convincermi
di aver sbagliato tutto;
ma forse
-forse-
è sbagliato tutto il resto.
Saremo un giorno forse amici
forse un giorno amanti:
per ora
siamo solo due forse
in un mondo di errori.

Avrei voluto dirlo francamente
urlarlo al cielo, alle stelle
che non mi basta, no
che il compromesso a questo mondo è inaccettabile
che non è giusto
che le ingiustizie sono
il nero
sangue
corrotto
di Dio.
La verità
è che la più grande insgiustizia
è la nostra,
questo silenzio;
e che in fondo
-in fondo anche per questo-
non meritiamo molto altro.

Red Shift

[ovvero del concetto, molteplice, di intimità]

Restami accanto finché puoi
o almeno pensami: io lo farò.
Dal nostro incontro è nato un universo:
non te ne accorgi?
E le stelle, e i pianeti,
e tutto ciò che è presenza o assenza
è nostro,
siamo noi.

Sono le leggi che regolano il mondo
a rivelare che già dal primo sguardo
ci stiamo inevitabilmente allontanando,
ma non mi importa.
Distanze siderali non cambiano il fatto
che siamo stessa materia.