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Buono il tè?

Come se avessi già vissuto
una vita come quella che mi ronza
nei frammenti di memoria
sparsi nel disordine della mia testa.

Come se fosse già finito
– senza che nulla fosse iniziato –
splendidamente,
e ne senta ora i rimasugli di qualcosa
che mi manca,
che ho perso
e chissà dove ritroverò.

Come se avessi cinto il mio corpo intorno al tuo,
senza che sia mai accaduto,
eppure sento ora il profumo di quella tua felpa
mescolarsi al mio,
e ai nostri odori
che hanno infuso stanze e stanze
come bustine di un tè
che d’improvviso smetti di comprare.

Lo sai che qualcosa ti manca,
non bevi più quel tè,
hai messo da parte quella routine
che turbina ora negli abissi profondi
della clessidra del tempo assoluto.

Eppure quel sapore amarognolo c’è lí,
tangibile, come se potessi toglierlo
dalla bocca per vedere com’è per davvero,
per darne una forma,
averne un’idea non platonica.

Ma non c’è stato mai nulla,
è il mio vagare in aree non terrene
– dove i passi generano radici superficiali –
a fissarmi qualcosa nel corpo,
a sostenermi tra la realtà e il sogno
quando questi sono come il mare e il cielo di notte.

Chissà quale sarebbe quella bustina di tè.
Me lo chiedo e credo… credo di conoscerne l’aroma.

Impressioni sul mondo

Vorrei entrare negli alberi,
respirare tra le pietre,
osservare il mutamento nelle tenebre dell’oceano.
Assaporare il retrogusto metallico
negli strati del pianeta,
udire il ticchettio in una nuvola
degli atomi che annichliscono nel tempo.

Vorrei rifuggire in spazi ed eoni remoti
che nessuno immaginerebbe,
per non sentire nulla, vedere nulla:
percepire il vuoto;
e poi viaggiare
e spostarsi in ogni punto, quando
un punto era l’unicità della totalità e
cardinalità di un’unica esistenza;

quando poi,
d’un tratto,
spaventosamente,
dall’essere
uno,
capivi
di essere null’altro che tutto.

In sordina

E mentre il sole cala,
sul ciglio della strada
la fresca brezza pungente
mi copre e m’avvolge,
mi accorgo in un istante
che non c’è più niente –
né filo né emozione –
che ci leghi ancora,
se non debolmente
la condivisione della vita
e dei respiri su questo stesso pianeta.

Nulla se non, debolmente,
essere
esseri umani che vivono da un po’
in sordina.

Coda

Cadono stelle nel mio giardino
chi più grande chi più piccola
e ognuna lascia una scia dietro sè.
Mi parlano di te
e le loro ombre di me,
la loro coda di ciò che siamo stati noi due;
rimarrà un luccichio eterno
della loro caduta, della loro presenza.
Tornerò nel mio giardino, un giorno,
e le lucciole rapide mi ricorderanno
di questo momento.

Cadono stelle nel mio giardino,
e so che saran sempre le stesse:
io mi stendo ad osservarle.

Assente

Lambire lembi,
appena appena,
di pelle umida
dei corpi madidi
lucidi
come chi aspetta
sotto la pioggia.
Una traspirazione unica
di due corpi:
fusione chirale
e miscela racemica,
giustapposizione intima
di due fili di vita:
sistemi quantistici
a forma d’uomo.

La penetrazione una possessione:
l’atto violento
in consumo, appena consumato che
a breve espierà i peccati;
e le vivide salate pelli
saranno di nuovo secche
e uniche. Reali.

Avevamo trovato

Sotto il marciapiede del tuo giardino
batterà un cuore – il mio – di Poe
perpetuamente.
Batterà e parlerà, accanto quella porta,
dei baci e degli attimi
e degli sguardi perduti.
E poi in qualche notte fonda,
di quelle notti indimenticabili,
al chiaro di Luna,
lo sentirai dire: “Avevamo trovato le stelle”.

Esistere (24/08/2022)

Siamo esseri viventi:

né figli né forme

del flusso vitale

bensì la sua stessa vita;

segni erranti

tutti uguali

nel lattiginoso 

brodo dell’esistenza.

 

~ È il segno stesso una contraddizione del flusso? ~

 

Non è segno ciò che non è distinguibile da altro.

Insomma, semplicemente esistiamo.

Solo sguardi; io ti spoglierei.

Di quel corpo ch’io non so (28/03/21)

Di quel corpo ch’io non so
mi manca il tocco che non ho mai dato
mi manca lo scherno che mai abbiam scambiato
e ricordo l’odio che tra me e te c’è stato.

Di quel tocco ch’io non so
mi ricordo che era proibito
e dello sguardo che m’hai dato
mi ricordo fosse adultero e così erotico.

Tu che d’erotismo e d’adulterio mi dai
mi manchi seppur mai ti abbia avuto.

Quella pelle che ti copre
come velluto ne ricordo quanto fosse liscia
e io che così piano ti toccavo
avevo paura di lacerarti.

E m’ispiravi in ogni dove
e mi tiravi da ogni parte
con quel sapore che tenevi
sulla pelle così chiara
che sulle labbra mie, al tempo dei morsi,
mi restava;
e il profumo tuo mi stimolava l’istinto
e ad esso mai sarò capace di sottrarmi.

Ministre d’amore del visto tuo
così rosse più del sangue,
vi mordevo e vi tagliavo
e del male che subivate
l’anima ne godeva sempre più
e gemiti ne erano il risultato.

S’incrinava il corpo tuo
al minimo accenno di piacere.

E quel piacere era colmo di proibizioni.

E le proibizioni colme d’erotismo.