E in questa aurora rifratta
ti osservo
– c’è un fiore di papavero
dimenticato sul tuo cuscino –
chiudo gli occhi
per trattenere quest’istantanea.
Si colora la pellicola
nella camera oscura
che ho nel petto.
E in questa aurora rifratta
ti osservo
– c’è un fiore di papavero
dimenticato sul tuo cuscino –
chiudo gli occhi
per trattenere quest’istantanea.
Si colora la pellicola
nella camera oscura
che ho nel petto.
Abbiamo lasciato l’impronta dei nostri corpi su questi campi
quando ci arrendevamo quotidianamente all’enormità di questo cielo.
Ho visto le stelle danzare
il sole toccarmi
e ho fatto l’amore col vento.
Ho accarezzato di nascosto questo suolo con le mie mani,
e nella rabbia gli ho strappato i capelli.
Con le orecchie poggiate sul tuo ventre ho pianto,
ho visto nascere questi fiori dalle mie lacrime,
li ho nutriti e mi sono sentita madre e figlia in un solo momento.
E poi ho goduto dei tuoi innumerevoli odori
ho fatto a gara con le foglie d’autunno
ho cantato canzoni nostalgiche per la notte gelida,
e Luna non ha mai smesso di ascoltarmi.
Mi sono commossa ogni santa volta
in cui un fiocco di neve si è posato esattamente qui
in questo angolo sconosciuto di mondo,
in questa pezzo di pelle umida.
E ho implorato perché non finisse mai tutto questo.
Era talmente
grande
e
viva
questa passione
che alla fine sono scappata.
Solo ora capisco che tu
sei l’amore più grande che io abbia mai incontrato,
Terra mia.
Io non ho studiato anatomia
del corpo umano
ma secondo me
nel cuore
esiste un posto indefinito
astratto
una nebulosa
un antro ignoto e recondito
ed è in quel posto
che finisco
annegata nella mia stessa sostanza vitale
ogni volta
che ti guardo
e che dimentico
e poi ricordo.
Non c’è cosa più dolorosa
che doversi salvare
da se stessi.
Quando noi da giovani guardavamo il cielo
e anche il cielo era più giovane
quando adesso guardiamo il cielo
e pure quello
sembra riderci appresso.
Quando il mio corpo e il tuo
saranno
definitivamente
separati
credo che la parte di te di cui più sentirò la mancanza
saranno i capelli
-il rame
la seta
la vellutata di zucca
la scala cromatica
dei tramonti
della tua vita-
che non ho mai smesso di accarezzare.
Ma in realtà sentirò la mancanza anche
delle braccia
del petto
del movimento del respiro
dell’ombelico
il naso
i lobi delle orecchie
i denti
le lentiggini
-che non so se sono lentiggini-
il collo
le unghie
i talloni
le spalle
così comode per dormirci
le vertebre
le ginocchia
e ancora
il fegato
le vene
il pancreas
le costole
i cuscinetti intervertebrali
falangi
falangine
falangette
e
infine
il cuore.
Dove sono finite
le tue radio
le tue schedine
il televideo
Dove è finita la tua poltrona
Dove sono finite le barchette coi giornali
le caramelle per la gola
le carte napoletane
e poi
le castagne matte in tasca
contro il raffreddore
come dice la leggenda.
Sono venuta sulla tua tomba
e te ne ho portata una
ogni tanto la cambio
che si sa
l’effetto svanisce
e non sia mai
ti venga il raffreddore
poi
quaggiù
piove.