Reietta a Ragione vive Angoscia,
nutrendosi implacabile dell’Ore.
Reietta a Ragione vive Angoscia,
nutrendosi implacabile dell’Ore.
Fanciullo siedo tra le spighe rivolto alla luna,
la voce rotta mi è condanna
e sol di essa si cura il confuso vagar del vento.
Ogni fiato, la notte, conosce il rallentar dell’ore,
v’è più tempo di quello che di viver riesce
e non fa paura la severa puntualità del sole.
Eppur già incede,
e al suo sorgere, della notte illuminerà tutte le lacrime,
come ad esiger spiegazione.
Non curartene, si tacciono al giorno le debolezze sussurrate alla luna.
Ora sfuggi con la stessa cruda saggezza,
che posi a scavar le dinamiche del mio animo,
nuova scienza della mia materia grezza
allorché il dorato palesa un terribile deserto arido.
E questo buco squallido dove ha termine l’evoluzione
si chiede davvero se al tuo cercar v’è alcuna ragione
o se vivi di speranze coltivate nel tuo suolo
e puoi prender noi adombrati e farci partecipi del volo.
Pazza, furiosa ricerca nella notte
come puoi afferrare le stelle con le tue braccia corte?
Cerchi di uscire dal buco del tuo nulla
ma spezzi gli altari su cui la vita si culla.
Al di là del tempo che ti è concesso
giungerai spossata al tuo misterioso amplesso
e crollando in estasi sulle tue ginocchia
bestemmierai contro il mondo che ti ignora.
L’ardere del libro sarà presagio
all’eterna fine d’ogni tuo disagio
Arriva l’inverno anche per le mie parole
si coprono, attendono, sotto vesti ragionate.
Solo al tuo nuovo sorriso si rivolge il sole
lasciando agonizzanti nell’ipotermia le mie giornate.
D’un folle malato martirio mi nutro
sapendo che l’antidoto sarebbe pronto, e subito!
Ma la mano, la testa, il cuore mio non stupro
Dicono che in quella vacua salute si viva meglio, ne dubito