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Io non abito al mare

Nei sabato sera provinciali
vorrei vederti arrivare da lontano
con una birra in mano,
portarmi al porto e raccontarmi
le leggende dei marinai fino all’alba
mentre rinasco come una ninfa
tra le pieghe della tua voce,
senza desiderare altro se non
un momento in cui morte e solitudine
abbandonino la casa che hanno costruito
tra le mie ossa
e credere che sia giusto così
e non possa essere altrimenti

Slow dancing in a burning room

Rosso, rosso, vedo il mondo rosso
nella stanza che prende fuoco,
dove le illusioni diventano delusioni
e la vita non inizia prima delle sette
quando raccolgo i pezzi sconnessi
di un io estraneo a me,
incatenato all’assurdo,
mosso dall’agghiacciante convinzione
che l’amore gli sarà
per sempre
precluso

Balliamo questo tango maledetto
e bruciamo, bruciamo lentamente

Quanto mi sono costati
tutti i passi per venirti incontro,
inutili e pesanti passi
vani come nebbia all’aurora,
inutili e tediosi passi
che mi hanno condotto innanzi
ad un altro muro
mentre con grazia e silenzio
tornavamo a nasconderci
nell’orgoglio avvelenato

La mia mente mi mente
la mia mente mi mente
costantemente
la mia mente mi mente
e mentre spudoratamente
mi mente
ammette di non amarmi

Vespri

Al tramonto mi trascino
come un salice piangente,
assente nell’ora clemente
quando le voci si sollevano
lentamente
e una luce dorata
si propaga per i vigneti,
per gli ignoti occhi inquieti
che risiedono dietro
quest’amaro alfabeto segreto

(ex utero ante luciferum genui te)

Requiem

L’ultimo riposo quando avverrà?
Quando ogni cicala tacerà e la notte
non sarà più tormento,
il grano alla luce di luglio nascerà ignaro
e fiori marci copriranno gli atomi di carbonio
per venerare un ricordo

Ma chi canterà il mio requiem?

Dies irae

Quante volte ho cercato l’incastro che
potesse garantirmi liberazione,
l’ho cercato disperatamente in occhi d’alluminio,
tra i rami di alberi smunti,
sotto l’edera delle lapidi e
nella solitudine delle stazioni
finché, con il cuore contrito,
ridotto a cenere,
cullai le mie lacrime

mare, liberami dal male

storia dell’arte

Hai scelto la via più semplice
nella diciannovesima primavera
quando tutto sembrava sciogliersi
come gli orologi di Dalì,
la persistenza dela memoria
non concederà nessuna tregua
e tu, maledetto urlo di Munch,
dipingerai tele lugubri tra le sinapsi

 

trasformami nella notte stellata
che non hai voluto vivere

A nessuno piace il jazz

Sei come jazz
che nessuno capisce e
fa male alla testa
ma io ti osservo dall’altra parte della stanza
ballando sulle note del sax
mentre il fumo della sigaretta
si disperde nell’aria tumida di chiacchiere
futili, borghesi radical chic
elargiscono sorrisi dietro un cocktail
ma io ti guardo,
ti ascolto e
la tua presenza suona le mie vertebre
come un vibrafono
è un’altra notte vellutata degli anni ’30
– qui a New Orleans –
se non fosse che tu,
tu sei diventato un brano jazz