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-Io declino autunni
Tu discuti orgogli annebbiati
Io sprofondo in una strofa
Tu mi chiami nella pioggia-

Pellicole sgranate

Vieni a rincorrere con me le ore tra foglie

accartocciate di domeniche d’inverno,

la tua mano che stringe la mia,

e mi salvi ancora una volta.

Poesia d’inverno

1,2,3… conta fino a dieci, poi vieni a cercarmi!
Gioca a nascondino con le mie paure.
Prigioniera in una foresta di parole non dette,
sperduta, tremo, urlando pensieri contro muri di gomma.

Sfiorami in questa notte piena di lividi.
Parlami ora che il silenzio si fa denso e avvolgimi nei tuoi sospiri.
Ti prego non lasciare che io precipiti nella mia stessa confusione,
funambola sull’orlo della follia.

Vorrei spiegarti la tempesta che imperversa nel mio tempo.
E invece resto muta, fredda, impassibile,
Mentre le mie membra lottano una guerra impari con il passato,
con l’esigenza di controllare l’irrazionale,
evitando di appesantire la tua mente con i miei fatui bisogni.

Tutto comincia a girare, le gambe si piegano, le corde vocali si spezzano e le speranze si annientano.
Temo tu sia solo un’ombra, un fantasma che si dissolverà con le prime luci dell’anno che verrà.
Ti stancherai di un corpo imperfetto e di un’anima taciturna.

Trovami in questo inverno: tu che sei la mia debolezza ma che rappresenti ogni dettaglio della mia felicità!

Montenegro e lime

Respiro endecasillabi,
mi nutro di follie notturne e lagune.
E di fronte a quei frammenti color cobalto
resto disarmata, sospesa nell’irreale,
in balia di irragionevoli timidezze.

Va tutto bene

Lenzuola aggrovigliate tra pensieri di colla,

un dipinto invisibile di rugiada fonde il mio cuscino.

Il suono del sangue che rimbomba nelle vene lacera i minuti.

Mi giro repentinamente da un lato, poi dall’altro,

ma nessuna tregua mi è concessa.

Urlo nel silenzio del mio io

contro le ombre di pareti che spietatamente opprimono.

Una belva deforme che si rafforza ad ogni crepuscolo

preme i suoi artigli sul mio collo,

stritola le mie fragili ossa.

Tento di liberarmi dalla sua morsa,

graffio furente la mia nuda putrida pelle,

fatta di sbagli e sensi di colpa.

 

Tremo nell’inconsistenza della notte.

Vorrei che tutto finisse,

una resa che forse sarebbe quiete,

un istante, un taglio netto,

e tutto avrebbe termine.

Privata del sonno ormai da mesi,

chiudendo le palpebre di occhi vitrei,

mi ripeto come un tarlo nel legno della testa:

“Va tutto bene”

Wrong

Più di ieri,

meno di domani,

ma è sempre il modo in cui mi sento

quando scorgo il mio guasto riflesso in uno specchio.

 

Il mondo sta per crollare! 

Luna piena

Smarrita dai tuoi silenzi,

mi sperdo in occhi ingenuamente scafati da vite anteriori;

affamata del tuo segreto,

mi nascondo nelle torri più remote della mia fortezza.

 

Rinnego la quiete,

voglio la violenza di braccia che proteggono,  

ma in mezzo ai fulmini malinconici di una tempesta. 

 

E mentre ti vedo andare via tra i sussurri del vento,

ammaliato da canti di sirena,

trattengo a fatica filamenti di acqua salata

che prepotentemente vorrebbero lacerarmi le gote.

Grido d’asfalto

L’hai annusata, divorata come carne cruda.
La ferocia di una belva tra le ciglia di una luna nera.

Eri istinto, eri violenza, eri passione.
Il ferro dei cancelli tremava mentre folli sospiri graffiavano le ossa.

Potevi essere la sua Rivoluzione,
e invece sei stato solo un grido d’asfalto.