Lunghissima
pubblicato il 13 Febbraio 2018
alle
22:55
Una poesia lunghissima
tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.
No, non c’è posto qui per una misura
persino l’uomo, per l’uomo, gli può diventare già umano:
come avessimo avuto un senso, o guardavamo un mare
come avesse avuto un senso.
E c’è da riprovare il già provato
sterminare l’amore sterminato.
La molteplice natura del tempo
traveste il suo impercettibile fluire
Se la felicità sia il nostro vero
o il nostro vero la felicità.
vedo un futuro, è fatto di questa
gente che proprio non ne sa niente.
Il sacrificio è una
gara a eliminazione, e la sua ara,
il posto di lavoro.
effimero, passato, forse scritto
anch’esso nella memoria del creato.
Ti sia leggera questa terra, dixi,
provveda la chi mica chi mera.
orfeo! gli dice uno, erfeo! gridando, efreo! battendogli la
faccia con i piedi, ebreo! gli dice allora: “canta!”
Non si sa chi, non si sa dove, non si sa mai
non è possibile trovarsi in cerca di se stessi sempre
Illumino spesso gli altri ma io rimango sempre al buio.
Tu che dormi, ti affido la luce,
crescerà a breve fra la campagna e il noce.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
tutto
il tondo del
mondo è qui
Ora che i piedi abitano fermi il suolo
è estenuante l’attesa del paradiso.
Verrà la morte e avrà i mie occhi
ma dentro
ci troverà i tuoi
Io con la poesia vorrei fare mattoni.
Nessuna cultura toglierà le mani alle mani,
la pelle ai vestiti.
hai il sapore del riposo
con gli ultimi voli della notte e il brucare in silenzio
perchè tu sei con me
assorto in un tramonto spalancato
Io.Tu.Tu ed io.Noi.
Una, improvvisamente
s’alza dal letto dicendo
tu mi guardi mentre io ti guardo dentro
e se ti guardo dentro mi vedo.
poche le notti d’amore, pochi i baci, poche le strade
che portano fuori di noi, poche le poesie.
nere nuvole come tumori
come bianco pane di Spagna
Avrai poche cose, tra quelle cose
ci sarò io.
il vero amore
non ha le nocciole
In un lago di nubi e calce accesa,
si appresta l’uomo a soppravivere
e i soffitti sempre più bassi, le rose anche
Un Dio Ragazzo, che conosce il Ma-mul, cantando
urlava maledizioni di penisole
provo una discreta soddisfazione
un povero asino legato quel pioppo che cade
ci accomuna la conta differita dei morti
Tra le fronde c’è un mistero
Alba cerulea di primavera
cerco il fango, mio unico amico
La perfezione del primo vero male
Addolcito il tumulto dei giorni
non serba confini l’amore
Le parole d’amore appartengono ai poeti,
ai pazzi, o agli dei
Pigre, le foglie spaccate dal gelo,
vestono le strade della mia infanzia
Eludendo i tuoi cento sospiri
labbra che si possano credere cadute
A volte pare ciò che non si sa
Magari è proprio questa la virtù
Ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà salvata
Attento abitante del pianeta,
guardati! dalle parole dei Grandi
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio
e non si scioglie non si scioglie non si scioglie non si scioglie più?
Carta da bollo per gli incendiati un papavero
Leggimi di notte, come io scrivo,
Vipera spavalda a testa eretta
Perché non si stima un uomo dal vestito
ma per quanti scalpi di tiranno s’è adoprato.
il cane abbaiava alla luna
ma è questo tuo mancare la presenza
ginestre
ferrose
Nel silenzio dei fiori,
in quel silenzio al centro
scatti di linfa, clorofilla, luce
spiccano ogni volta felici il volo
incontro a chi spara.
chiodata sul ventre di carta
la nascita deforme dei nessi
e Dio non si sarebbe scomodato
Smettila, hai capito? di immaginarci
Nulla da aggiungere, nessun significato
Ripeto ogni mattina la lista e aspetto
che qualcuno mi dica cosa manca, e dove.
La verità che non è la poesia,
ma nel verso come nel segno trova
animale è l’amore
ma tu segui gli spacciatori di oracoli
Prendere in mano la sorte del suo destino e integrarlo
e diventare l’agognato essere dei sogni
Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
Il massacro è la mia storia, in allegoria.
se ti togliamo ciò che non è tuo
non ti rimane niente
Ho freddo, ma come se non fossi io.
Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
se riesci, dove finisce l’omero incomincia la mia fine
dove era il mio occhio oggi c’è mare e il cielo
Cosa dirai di me dopo che tutti i mutamenti
mi avranno riempito di difetti
I morti hanno la bocca cucita al perdono.
Nell’aborigeno mio cielo
il mio cielo è tronco d’ali e reti
l’agglutinarsi di dio
dentro di te.
Azzarda lo scompenso nel cammino
Veggente dalla bocca vuota e l’occhio cavo
Io volevo un amore non questa conversione della pena
tu cura il traguardo, l’ombra viva del pensiero
perché sia memoria.
in ogni verbo dove girano mano
e piede s’accampa una pietra
-ché siamo tutti deboli come una promessa
di quelle che (non) mantieni in silenzio
Occorre approntare la parola per gl’inverni a venire
stringendosi addosso assoluzioni e i colpi bassi delle ghiacciate
come si scrive inventariato? Te lo dico io:
si scrive con la lista precisa dei corpi che siamo stati
soma cosa?
peso irriso
Che età avevi quando irruppe il Medo?
Scrivere per disperazione e gioia
e sperare che giovi all’eco del corpo
Abbiamo altre parole questa notte:
un corpo musicale, a vendicare il tempo passato senza fuochi
La selva automatica e squillante, l’anonimato azzurro
ma non etereo: scrupoloso
M’è ditte ca na vote ng’ere amore
e sse durmije cu re pporte aperte
La bocca è un’alba schiusa
la meraviglia è nelle cose guardate
mai nessuno che sospetti che qualcosa va fermato
Chi è necessario dice ciò che resta
e non vuole niente
Avrebbe dovuto appartenere ad altri mondi
l’inerme che è germinato in noi
La gente è uno sbaglio anche quando è lontana.
Chi manca è più nitido,
si prende la ragione
corrisponde a un’incrinatura che si allarga nel tempo ogni nascita,
ben prima del grido che ne certifica l’orrore
riproporsi costante della voglia
di dire dirsi vedi ancora vado
La merce siamo noi, siamo la merce
che può fare acquisti
Quando l’acquisto riguarda il pane, i tempi
sono prossimi alla redenzione