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via da dystopia

Ognuno era diventato il secondino di se stesso.
Navigando nel vasto mare del progresso,
l’umano aveva digitalizzato tutto, fino al sesso.
Niente di così tragico o brutto, per adesso:
l’amico era un contatto sul datamind,
l’autostima conseguenza dei followers to buy.
Non esisteva un prima, non si dava un dopo.
Aveva vinto la società del controllo senza scopo.
Non serviva la carne, nemmeno più il con-tatto
bastava un avatar artefatto, creatura perfetta
d’intatto rispetto: la corteccia accesa intanto
in network rizomatici si espandeva per diletto.
Detto, e presto fatto: tutto fotonico, pure artificiale.
Umano, bestia ad obsolescenza da comandare,
la morte, vezzo di specie da superare.
Non auspici ma dispositivi informatici sottopelle
– nessun senso del silenzio, non delle stelle.

Sognatore ribelle, osò trasgredire al game
reinventando un mondo da una cosa sola:
inesauribile parola. Parola fatta non di cavi
e schermi ma di nervi e sentimenti, parola
che s’invola per meglio vederci.
L’evoluzione come trapasso verso un senso compiuto.
Da un sogno caduto si leva la coscienza,
tien mano alla tecnica e a spasso la porta
fino a trascendenza: cibernetica, sagoma estetica, apologetica del patire, sutura
di cuore sinapsi e psiche, da cui ripartire.