Ti accarezzavo il petto e ti ascoltavo respirare
ora piano, ora veloce.
Sapevo decifrare ogni neo, li collegavo con le dita
come costellazioni.
Ti stringevo forte le mani,
ma costantemente mi domandavo
Perché?
Dov’era il nodo di tante congetture,
di tante ore
immerse nel silenzio bollente.
Perché non c’era.
Forse era altrove, molto lontano al di fuori di noi
mentre nel petto saliva insolente quell’irrisolto,
stretto come un drappo di seta ai fianchi di una dea indiana.
Ammaliata da una sensazione mordente
cercavo il movente del mio suicidio razionale.
Cosciente della fine imminente
non mi curavo del tempo che su di noi incombeva feroce.
Il tempo, che in verità non ha alcuna colpa.
Da lontano, come un sussurrare fioco, l’avvenire avanzava però
ad ogni passo s’annullava, assieme alla luce del tramonto, che ormai moriva,
non c’era più.