“Meglio oprando oblïar, senza indagarlo,/ Questo enorme mister de l’universo!/ Or freddo, assiduo, del pensiero il tarlo/ Mi trafora il cervello, ond’io dolente/ Misere cose scrivo e tristi parlo.”
È uno scuro meriggio di luglio,
Bufera che asterge l’afa distesa
Laddove con la sua rapìna
divora i broli del re dei fiumi;
È tenere fra le dita l’ennesima
Rizla sfilaccicando il Lucky strike,
Confezionare, dare fuoco,
Farsi danno senza affatto curarsene;
È giacere sul letto, gli occhi chiusi e
La mente offuscata, fallita ancora
Un’occasione, e affrontarla come
Se d’altri e non tuo fosse il problema;
È essere stanco di questo torpore
Dove ogni umano vizio mi blandisce,
E che dovere inteso per prova
Quasi ïo non abbia mi dipinge.
Ma ciò che più mi logora non brucia,
Lentamente mi sfibra il pensïero
Privo d’azione materiale,
Che invisibile a me si asserpa
E vivo di fugaci attimi di vita
Come la console che sotto la polvere
Dei cimeli invidia, più bella,
Il desco della prima colazione