Sei qui,
non c’è altro,
sei qui,
nessuna porta da aprire,
da sbattere,
solo l’aria,
sei qui,
l’esistenza in un punto.
Sei qui
e non manca più nulla,
non c’è da far la spesa,
da contar le lacrime.
Sei qui e ascolti
pensi, parli,
sei qui
e ogni parola è un antidolorifico,
un gradino per risalire.
Sei qui
e mi salvi,
salvi un intero universo
che nascondo nel vuoto che c’è
tra i miei atomi.
Sei qui
e mi capisci,
mi conosci.
Sei qui,
non devo aspettare,
sei qui,
posso sfiorarti,
posso raccogliere i tuoi abbracci
e metterli in tasca.
Sei qui e non ti nascondi.
Sei qui
e m’aiuti a crescere,
vivere.
Sei qui,
mi guardi, mi porti un sorriso,
uno spicchio di paradiso,
sei qui,
forse la felicità.
Sei qui
e ci sono anch’io,
perché sai come,
quando
non farmi cadere.
Sei qui.
Poesie
Buio
Era così buio
a quell’ora della notte,
che le stelle avevano paura
di disturbare,
di luccicare.
Smettere.
Smettere di tremare
come le candele,
che non ci sono mai
quando la luce muore.
Un torrente d’oscurità,
a quell’ora della notte,
tutto dormiva,
tutto scivolava chissà dove.
Ed io restavo,
vigile nell’ombra,
vittima dell’ombra,
ed era così buio
a quell’ora della notte,
così buio.
Era lì che finiva
Era lì che finiva
ciò che non sarebbe mai iniziato,
sul ramo della notte,
ed io come un’arpia
a ricordar quei momenti
che non avevo mai vissuto.
Gli scheletri nell’armadio
Imparerei a sorridere,
se potessi seppellire quegli scheletri
che solo io conosco,
che mi vengono a cercare
di notte
e si nascondono dietro al tremolio
di finestre che scricchiolano, di porte che sbattono.
Volano
fino al mio letto
e nei miei sogni
bisbigliano rumori indistinti,
battendo velocemente quei denti morti
per dirmi qualcosa,
ma non esce alcun suono
da quelle labbra inesistenti,
eppure io intendo
quel che ho da ricordare
e ho paura
e non posso dirlo a nessuno
e nessuno vuole sentirmi.
C’è la mancanza d’un amore
che mi corrode le ossa
e mi riduce a scheletro
vivente
ed ogni lacrima che cade
è una sconfitta,
è un segreto che m’uccide
e nessuno sa che potrebbe salvarmi
anche solo gaurdandomi,
parlandomi di sè e lasciandomi entrare
nel suo mondo,
perchè nel mio
si muore.
Salice dei miei anni
Le sconfitte ricadono su di me,
piegata da desideri occulti
e paure innocenti.
Irruenti tutti quei baci
buttati,
succhiati, sputati.
La pece scorre nelle mie vene,
primordiale malattia,
l’anima di ghiaccio mi corrode
i pensieri più semplici e disonesti,
e brucia il mio cuore, di carta.
Cade cenere sulle dita,
vola via.
Il passato oltrepassa il tempo.
Abbandonarsi, morire.
Radicarsi, rinascere.
Non posso più sognare splendide delusioni,
deliri d’estate.
Cosa mi resta?
Mille volti, mille volte
ferita in mille modi.
Sempre diverso. Tutto uguale.
Tre note d’arpa sul fondo dell’oceano,
mai suonate, acerbe,
perdute e dimenticate
nella eco di abissi infernali,
dove mi cullo, prima dell’alba,
prima di andare.
Vorrei tornare
Vorrei tornare a quando ero bambina,
prendermi per mano
e dirmi che tutto andrà bene.
Vorrei potermi abbracciare e sorridermi
nel passato,
nel presente che passato sarà presto.
Vorrei dirmi che me la caverò con poco,
vorrei dirmi che vivrò di passioni,
di attimi che rinverdiscono il dererto dell’animo,
ma subito si dimenticano.
Vorrei sedermi accanto e stringermi,
piangermi addosso per quello che non so,
che ancora non so.
Dovrei dirmi di vivere il più intensamente possibile,
che la fantasia farà presto a scappare,
che la spontaneità farà presto a finire.
Dorrei dirmi di non pensare tanto,
di non aspirare alla crudele perfezione
che mi attrae e mi uccide.
Non mi dirò che m’abboffo di tristezza
per esser felice,
che mi cullo nell’illusione per esser me stessa.
Non mi dirò che non avrò mai un posto nel mondo,
che non mi riconoscerò mai in niente,
ma che sarà il niente a riconoscersi in me.
Non mi dirò che ogni stanchezza,
ogni vecchiaia,
ogni criterio instabile,
rendono la vita difficile,
insopportabile.
Non mi dirò che a poco a poco
tutte le cose perderanno il loro profumo
e il loro colore,
la bellezza della semplicità.
Non mi dirò che l’inutilità
si trasferirà nel mio letto,
che c’odieremo segretamente sotto le coperte,
ad ogni fine giornata.
Non mi dirò che ucciderò la bellezza,
più volte,
quella esteriore per prima,
poi quella interiore,
lentamente.
Non mi dirò che avrò paura della solitudine
che la morte sta sempre davanti
mentre la vita le corre dietro.
Non mi dirò che perderò il senso di ogni cosa,
che la pesantezza si trasformerà in malinconia,
che un’infinita attesa diventerà la pace.
Le fitte trame delle sottane delle orchestrali
eternano il movimento della folla all’uscita,
nel viale. Sublime e vano il turbinio delle mani,
lo strenuo tentativo della giovane violoncellista.
La furia con la quale si dibatteva era brezza
che incideva un’aporia, un taglio profondo
nel valico semico stesso della finitezza.
E stremata, un crescendo e stremata un crescendo.
Ma non vorrei che i graffi sulle calze, di lato,
fossero unghie impigliate in teorie da rivista,
pastiche diffuso e possibile. Come rossetto sbavato.
Nonostante, le verità che ancora cerchiamo, oceani
persi con naturalezza tra le corde spezzate e le dita
è nel richiamo del vento, in frequenze abissali.
Nella geografia dei fallimenti
salvo l’autoreferenzialità della poesia.
Non paralleli e meridiani indiscutibili
formule matematiche
poli e tropici
elenchi telefonici
da cancellare.
Femminicidio
Sono morta ai tuoi piedi
colpita dal tuo odio
prepotente e possessivo.
Ora non posi nemmeno lo sguardo
sul tuo delitto disumano.
Ero il tuo ‘grande amore’
il tuo ‘bene più grande’
al quale non potevi rinunciare
ma continuavi a spaventare.
Oggi per l’ultima volta.
E finalmente sono libera
dalla tua accecante gelosia,
dal tuo patriarcale maschilismo.
Avevi infranto il mio sogno d’amore
io, volevo solo fuggire dal mio dolore.
Ci siamo detti tutto
senza pronunciare una parola,
senza guardarci neanche in faccia,
semplicemente immergendoci
nello stesso universo di paure
e affogando insieme.