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 Effettivamente prima dell’uomo
 c’è l’essere e basta. Prossimo a Dio
 in teoria, cupola di un duomo
 meno terreno e più sensuale. Io.

 Ciò che è certo, l’unica
verità consacrata ai giorni
è questa: che mi avvicino
sempre più allo zero
 o all’infinito. Ma non sono
 i voli, le grida dei rapaci
ciò che più mi spaventa,
che mi inganna e si somma,
che si scompagina nel cuore.
Non la mia carcassa agli assalti atroci
di chi mi sopravvive.
No. E’ la paura di non avere te
che m’attanaglia. Che ciò che sento
con violenza, che tu sia mia,
che per questo abbia giocato
la vita, possa svanire.
Che tu possa girarti e dire
un giorno, io me ne vado.

Noi, sempre a cena fra le stelle.
 Ma questi sono i sogni
o gli incubi già detti,
più oltre stanno i versi.

E la mente vaga per decisione
presa d’assecondare il passo infermo
 e non pensare. Ed ogni occasione
è placida neve, è cuore fermo.

Mente dice la mente. Cuore dice
 non ti curar il cuore con la mente
 ma cura e rendi l’anima felice.
Vita vigliacca che non dice niente:
 “Con l’una o l’altra si guarda e passa
 la partita”. Da perdente da vincente
non si sa, non si scioglie la matassa.
Insomma, un participio. Dissolvente.

E’ nel tramonto di fuoco
che tutto si ricongiunge.
Dalle palpebre aperte
di una terrazza di Marrakech
che guarda le strade rosse
i vicoli stretti della casbah
i carretti di venditori
gli arabeschi mori dei tetti
verdi, che coprono i muri
di pietra dissolta
nell’ombra della sera.
Dalle bocche degli hammam
escono uomini e vapore
i portoni dei bagni
chiudono all’ora prestabilita
dall’incantesimo
della perla rossa
del deserto.
La larga ferita 
aperta nel cielo
 
è richiusa
dalla terra identica
dalla  polvere rossa
dalle strade rosse
nella fitta ferita rossa
senza tempo
cade la sabbia
cade il fumo di Djemaa el Fnaa
cadono i tavoli e gli inchiostri
cadono i calici e la pelle
tagliata dal vento
della notte del deserto
cade la gente a grappoli
che s’affaccia alla sera
granelli e granelli di sabbia
cadono nel cielo
cade la piazza
capovolta
dal suo gioco perpetuo.
Nel silenzio irreale
cadono i minareti
la voce dei muezzin
come un nenia antica
risuona soltanto
nel silenzio irreale
cadono i minareti
in una litania di voci
cadono i minareti
nel canto dei muezzin
cadono i minareti
nei gorghi antichi
padri della storia
cadono i minareti
mentre un’immensa clessidra
capovolta 
scioglie il tempo

nell’acquerello rosso del cielo
e lo riconta

granello per granello
a ritroso.

…e tutto lo scorno di questo mancarci
sarà spezzato da un solo bacio
e ancora prima, nell’attimo fatale
che tutti li precede – quello dello sguardo –
dal sussulto, dalla sorpresa che davvero
tutto questo pensarci, queste voci
che ci rimandiamo nelle cornette,
nel ciondolare nervoso dei gesti
che senza tregua infliggiamo
agli oggetti, sollevare fogli ripetuti,
lo schermo intermittente, il libro spostato
per scandire il tempo noi stessi,
che tutto sia reale adesso, da toccare,
corpi nuovi ricolmi di stupore
corpi nuovi restituiti dall’abbraccio.