Bevi da me, languore, come coppa di liquore.
Quasi chirurghico il taglio, ma non come Mimì
sono ferito, è nell’amore, già, non nell’onore
per questo scrivo, metrico. Più chiaro di così…
Poesie
Le mani giunte, a te, sono preghiera
di ginocchia vinte,d’ombelico, sunto
del mondo, di ritrosa e di vera
amata conquista. Credici. Punto.
Giochi di rime ed assonanze
per alleggerirmi, incapricciarmi
nel bel gusto, nel gesto vano,
li lascio ad altre stanze
ad altri luoghi rimando ora la ricerca
del piacere personale – di personale –
senza fine o fine a se stesso
– che è lo stesso – di getto oggi rimetto
a me stesso solo il mio dolore.
Dolore circoscritto.
Un abbozzo di dolore.
Circoscritto e rotto.
Un arabesco stanco.
Ed intanto che io scrivo,
vale puella, vale,
la prendo io la via che fa più male
che passa retta dal cuore e s’allontana,
mi nascondo nella tana
dei miei timori insani,
dei miei sani languori,
nei dolori stanchi delle gambe lente,
delle anche,della schiena sghemba,
nell’animo dolente,
nell’insonnia eterna
del sognatore.
Che non ha pace,
che sogna pure quando parla
e quando tace e quando vive
perdendosi nel sogno vivo
del suo innamorato gioco,
nel voler dipartire per un poco
senza perire per davvero,
troppo impegnativo.
Piuttosto abbandonarsi
e sognare di morire.
Il cimitero degli Elefanti
Io
vivo in balia di un passato
che non riesco a rammentare.
Immagini opache,
dubbi,
nessuna certezza.
Eppure
Tutte le mie poesie
sapevano bene
dove sarebbero
andate a morire.
Ho vomitato i miei ricordi
dentro un cesso.
Ho provato con la mano
a far qualcosa
ma la sbornia non aiuta
così
-alla fine-
ho rinunciato e tirato
lo sciacquone.
Con violenza ho vomitato
e non ho sentito rumori.
Mi hanno detto il silenzio
non vomita mai.
Siamo nati su un patibolo.
Fermi come rocce
ci siamo lasciati aprire il torace
per farci asportare
la poca dignità rimasta
incrostata alle budella.
Ci siamo lasciati stuprare gli occhi
e bruciare l’anima.
Immobili
ci siamo lasciati evirare la fantasia
e infibulare la libertà
attendendo che la corda
ci cinga il collo.
Fermi come rocce
giusto per vedere
poi cosa succede.
Eroica, Erotica, Tragica
I. Erotica
Notturno il sussulto,
la spada che fende la carne
tenera
tenera carne
bramata e temuta
offesa seppur venerata.
Se prima era furor di battaglia
e le urla scandivano il tempo
è ora quiete a dettare legge.
Solo l’ansimare affannato
di chi ha compiuto un volere divino
è metronomo alla melodia del silenzio
di un mondo che dorme.
Si erge il giovane Giorgio
dinnanzi al Drago e guarda:
la mano cede,
cade la spada.
II. Tragica
Camminare per la strada
basta uno sguardo ricambiato.
Uno
sguardo
gravido
di pensieri – il mio.
Il suo
di sogni – i miei.
Un attimo
la mia mano sulla sua
il mio braccio stretto al petto
– il suo –
e i baci.
Un attimo
i nostri corpi nudi
una lotta alla conquista
del piacere.
Un coito mentale
interrotto dal suo volto
che scompare
tra la folla.
III. Eroica
Non per Silene
ma basta donna
e sarà questa
Principessa e Drago.
So bene cosa fare
tornato a casa.
Se
Se solo avessi
forza
coraggio
volontà
mi innalzerei sul mondo
e brucerei anche il mare.
Invece eccomi qua
– lo so non mi vedete –
rannicchiato in un angolo
sperando di sparire.
Sono il giullare
della vostra insulsa
corte dei miracoli.
Sono l’effimero
l’eccesso
così patetico perché
me stesso.
Sono il rancore,
il brusio maligno
di zanzara
che ronza nell’orecchio.
Ascoltami.
Tu vomiti
nel mio cervello
discorsi ovvi
e senza senso.
Una sola misura
voglio ci divida:
il silenzio.
Piccoli frammenti impalpabili
Prova a toccare il futuro coi pensieri,
piccoli frammenti impalpabili
taglienti come lame affilate
con sassi rubati alla vita.
Il sangue che uscirà dai tagli
sarà miele di emozioni.
Piccoli incantesimi caramellati.
Cielo contro terra.
Leggera brezza che squarcia
le tue angosce
e che satura i tuoi perché
di frasi fatte.