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Sono
-mi scompongo-
Sogno e ricordo: sono.
Campi, gemme, fiori
Anche i miei errori
Sono, foglie gialle,
Faccia nera, cuore, corpo,
notte e sera
Sono
Sangue e amarena,
Nuvole, sabbia, luna piena.
Guanti arancio,
Pronta al lancio,
sono: palla fuori campo
Sono, ora non sono armi orsono
anni, liti e palloncini.
Sono Indiana e Biancaneve,
istinto, torta di mele
Sono fame e digiuno,
guance, rosso inopportuno.
Sono acne, sono ovaie, sono basta!
Sogno e sono,
Quella che ti ferma, che ti ama e che ti pensa, sono!
Sono sonno sono veglia
Sono, poetessa, artista, del corpo equilibrista, sono!
Sarò abbraccio grande, mano stretta,
Pianto, lacrime, fiume e vetta.
Sono rabbia, giallo uovo,
Rancore freddo, sasso sono.
Sono pietra preziosa, a volte amara,
a volte deliziosa.
Son perdono, sono odio
quella che tollero, tuono, esplodo!
Sono tempo, spazio e suono!
Tiepido luogo.
Sono nebbia, sono specchio
Sono solo dolce orecchio.
Senza suolo, son montagne,
Mare e abisso. Sono tante.
Sono Dio, sono Io. Di nero illuminata, sono santa, martire, donna, esiliata.
Saturno e Mercurio-cromo.
Padre, figlia orfana, madre e cucciolo d’uomo.
Sono malattia,
sesso, sollievo, agonia.
caos e teoria, sono.
Sono corna incastrate nel muro,
fine, inizio e futuro.
Sono sete, sono guerra,
crepa e pacifica terra.
Sono piuma e comprensione,
rima e discussione.
Speranza, battito, miracolo:
tutto a forma di pinnacolo.
Sono affresco da conservare, rompere e restaurare.
Amica, amante e confessore, Vangelo apocrifo dell’amore. Sono!
Pesce, mucca e carro armato,
Squalo dal morso delicato.
Sono senza nazione, la mia casa son le persone.
Son radice, fusto e ramo,
Finto leone vegetariano.
Son sottile, con spessore.
Sono istanti, sono ore.
Il mio tempo, sono,
il mio stento:
coraggio e terrore.
Urlo forte. Silenzio. Stupore.
Sono anemone, tenerezza,
panico e leggerezza.
Sono aquila lontana,
custode, attenta guardiana.
Sono colorata e sana.
Brutto figlio di puttana!
Fuoco lento, grande incendio
Cenere, risveglio.

Reazione

La gravità funziona al contrario,

una forza ineluttabile mi spinge verso l’alto,

cerco di aggrapparmi al lenzuolo

ma la spinta mi scaraventa fuori dalla finestra.

Il lenzuolo si strappa

e le mie gambe grondano sangue.

Vedo tutto diventare minuscolo

e più ascendo al cielo

più accelero.

L’aria si fa rarefatta.

Ho freddo,

ho molto freddo.

Vedo la Terra da quassù.

È bellissima.

Apro la bocca per lo stupore

ma la mia pelle è ormai dura,

(troppo tardi)

è grigia e gelida.

Non sento più le gambe,

ho perso sensibilità,

vorrei piangere ma non posso,

non ci riesco,

non ha più senso.

Il ghiaccio penetra nel mio corpo

e lo crepa dall’esterno.

La coscienza vaga,

qualche ricordo vago appare nello sfondo,

ma tanto non ho più niente da dire,

il fiume di fiele è ormai passato.

È stato tutto qui,

è stato tutto lì.

 

 

La grammatica della misericordia (l’ultima canzone)

Credevamo nessuno potesse avvistarci o catturarci
Eri un regalo tra poveri. La Pelle che non crede al coltello
L’ultimo dettaglio Che chi muore ruba al mondo
Gli occhi viola della donna che non ho mai incontrato

Il nostro segreto era pensarci come un furto
Non parlare della nostra bellezza neanche nel sonno
Portavi dei gioielli alle caviglie con il suono della pioggia
E Da te dipendeva il pasto delle bestie del cuore

Il cameriere levava quelle quattro stelle rimaste nel piatto
Sapeva di non essere del tutto innocente. Proprio come noi.
Tutti avevamo studiato alla scuola del pane e della libertà
Dove ci hanno insegnato la grammatica della misericordia

Quello che allora non sapevamo era dimenticare
Quello che non abbiamo mai imparato
È la lezione dell’ultima canzone
prima dell’attentato

Damn Johnson

Damn Johnson.

Schiantato sul bus. Damn, sento russo che mi brucia il timpano, Boshka!
Un fratello stasera se ne è andato, figlioli, manco un addio decente sono riuscito a dirgli.
Prosecco nelle vene e Lei, fratelli, una Boshka di bronzo corvino che un abbraccio è una accoltellata.
Umidità del cazzo, è ora di un dannato Gin Tonic.

Corridoi sotteranei, segrete malvage e discorsi buii nei retroscena del palcoscenico del mondo danno vita alla commedia.

“Sei un cazzo di coglione!” Lo so Fredson, ma la poesia sconfigge le fiamme dell’inferno.
Cazzo, sto tramonto da pulman grezzo senza aperitivo sbronza le mie narici.
Vattene vecchio! Guardami, non ho niente che ti può fregare.

Vene d’oro riccioli di gin, specchio dello sguardo di ghiaccio. Sabbia amara tra le ginocchia e sei ricordo d’ombra. Carotidi violacee nel buio dei fiumi di Parigi.

Ornate d’oro i coltelli, fratelli, e catturate lo sguardo alto della Dea!
L’ordine lo eseguo, principessa, e nell’ombra dei tuoi capelli mi dileguo.
Buio e calci in faccia.

Prossima volta sull’altare del vitello ci voglio essere io!

Anche i rincoglioniti piangono

Si nasconde in disparte

negli angoli bui

in cui combatte i suoi demoni.

La pelle diviene rugiada,

il cuore un cavallo galoppante,

i muscoli pietra granitica,

gli occhi evitanti

e lo spirito schiacciato dal peso degli sguardi.

Si scorda cose,

non performa

e si mangia le parole.

Stupidità è la sua lettera scarlatta,

il marchio indelebile

cucito da lingue fredde come il metallo

e osservandolo prova ripugnanza

così come quando pensa a se stesso;

ma per favore abbiate pietà,

sputate il veleno in sua assenza.

Cercando attentamente nei suoi occhi

sarete accecati a un certo punto

da ogni sfumatura esistente del dolore.

Colpite con molta cautela

perché anche i rincoglioniti piangono.