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Germogli di Marzo

Mi sono legato alle persone sbagliate

Mi hanno inviluppato in una stretta morsa

Raggomitolato nelle mie intime convulsioni

Ho strappato la mia apparenza dal lembo di pelle che intrappolava la mia essenza

È fuggita, ora vola e va

E quasi non ho paura che si perda.

 

Sospende l’eterea sostanza
levata, sua, dall’eolo soffiante:

batuffolo sperso nell’áere,
caprìola leggiadro, riflesso d’opale.

 

Marzo di attese, delusioni e sorprese;

tra la fine e nuovi potenziali inizi mi perdo.

Lascio che i ricordi della città mi trascinino altrove, lentamente, silenziosamente.

Mi inebria il nostalgico odore dei luoghi, delle persone che ho incontrato, delle vite che ho sfiorato.

 

Ed è proprio in questo vortice di incontri,

che cerco la mia essenza.

Per ora questa ricerca rimane un cammino incessante,

alle volte perfino sfiancante.

 

Corre veloce l’abitudine

della quiete.

Accorri, o fuoco

dei grandi momenti.

Serve poesia,

ad attimi alterni,

per non tornare

dove tutto ritorna.

Sigaretta

Affaccio,
respiro aria amara
nascosta, sopra le tegole
riguardo in là, vita avara 
che fu. Addiaccio,
cerco ramingo l’aurora
la maglia di rete nell’ora.

Aspetto,
nuvole sparse e strisce di luce,
riposo dell’anima che si ricuce,
truce, fiotto di fiamma
sulle rughe, riduce a barluce
sul viso, un solco.

La calma.

Hai mai pensato

di andare piano,

umano,

mentre la vita ti corre veloce?

 

È lo scherzo

dell’uomo

agli déi.

13 giugno

Questa la mia preghiera:

quattordici chilometri in bicicletta e

una sigaretta a bocca secca.

 

Ti guardo, Senza nome.

Beato te

che io

neanche il senso ho.

T’aspetterò sulle nuvole
le gambe incrociate
il naso nella panna.

E sarà un guardarsi
negli occhi
da nuvola a nuvola.
E lascio che sia il vento
a spostarle
vicino o lontane,
decida lui;
ma mai, e dico mai,
più in là dell’orizzonte.

La poesia

è forma di pensiero

che in prosa

sarebbe troppo peso.

 

Lascia questo mio,

inchiostro,

in versi e retorica

e svolazzi leggero

tra la punta di stiletto

e il mare del cielo.

Una lancia che spariglia

scagliata

a far di notte

le mie memorie.

 

Rimangono punti

assenti di colore:

è lo spazio

minimo e infinito

che resiste

tra me

e te.

Pensieri sciolti

versati in acqua calda

mescolati.

Butto giù, un bicchiere al dì,

l’ha prescritto

il dottore.

Autodiagnosi alla Moliére.

Vorrei sapere cosa pensi

quando mi vedi

estraneo tra la folla

se il tuo essere

è tale da non perdere equilibrio.

 

Ma cos’è l’equilibrio

se non assenza di movimento

necessario

a prendere fiato?

Bramo

la stasi dell’apnea.

Ho visto una stella,

cadente;

l’ho espresso per me

nel ricordo

che sono io

a dare forma al desiderio.

Non importa la strada,

ignota,

ma la fine, lontana,

dove cadrà quella stella.

Fumo l’ultima

perché ormai è passata.

I polmoni assuefatti

la mente rasserenata.

Sia benedetta la carta bianca

macchiata di nero

lo sfogo.

 

Ho trovato la cura

malgrado te

te che non lascio

perché ho trovato la cura.

Foglio bianco.