Skip to main content

Tu hai espugnato il tormento e l’hai spezzato in spalle curve. Sei un piatto di ceramica decorato sapientemente di fragilità e ghirigori di aspirazioni. Tu finisci le giornate in frantumi nelle stanze in fitto, sui pavimenti che spesso sono la cosa più bella di tutta la casa. E le cose ti stanno andando pure bene, ti dici che stai bene; cerchi in uno sguardo la forza per risorgere, e trovi la mattina in un profumo. La forza per risorgere e odiare la sveglia, ancor prima di tutto quello che ti costringerà a fare; per campare e comprare. A tralasciare gli affetti per creare famiglie allargate agli analisti o altre che finiscono in tragedia. A odiare i soldi, anche quei pochi che guadagni: perché fanno schifo, perché hanno rovinato il mondo. Come dice quel tuo zio lontano, che fa il barone all’università di Universitalitopoli. Un po’ in là con gli anni, si fa crescere ancora la barba perché quando l’ha fatta lui, l’università era ancora di sinistra. Tu sei nelle carte che strisciano e nei soldi di plastica. Nelle discussioni sui bitcoin che faranno esplodere il mondo. Dire baratto è diventata una cosa cool. Tu sei in quel gesto di pagare con carte di plastica, senza la speranza di potergliela far pagare. La rivoluzione è finita nelle buste di plastica, che neanche si rovinano se si bagnano col sudore. Che prima gettavi o utilizzavi per buttarci altri rifiuti. In un cenacolo di anni divisi per turni; pacchetti da 8 ore e le ferie non pagate, che ci prendiamo per stare con quel profumo che ci piace. I ricordi, almeno quelli, finiscono nell’assegno pensione. Tu sei nelle file alle Poste, ad odiarci come fanno i giovani e gli anziani. Perché siamo troppo veloci o troppo lenti ad accorgerci di quello che ci aspetta, ad accorgerci che tu non aspetti. A finire di consumarci, a finire come quel posacenere sul tavolo. A finire sfumando, come le peggiori canzoni anni ’80. A finire a tu per tu col tu.