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TORTA DI MELE

(“Cueillez dès aujourd’hui les roses de la vie”

Pierre De Ronsard)

 

Ti lascio una fetta qui sul davanzale

Così che tu non debba bussare

Né scivolare

Tra finti abbracci e cortesia

E’ con le mele, sai

Dolci pianeti di malvasia

Il mio frutto preferito

Simbolo di un piacere proibito

Dal paradiso a Biancaneve

Frutti ribelli e multicolori

Come la bandiera dell’Etiopia

Rugosi e morbidi e lievi

Degli aggettivi una cornucopia

Piccoli seni dentati e dorati

Però affréttati

Potrebbe raffreddarsi

Ammuffire

O finire in pasto ai corvi

Insomma, deluderti

Quando spegnerò la luce

Del mio attenderti

LAURI DAPHNE

Ora che astri e neon sono lontani

Fermati a bivaccare qui un momento

Mentre attraversi il deserto

Calciandolo con le tue cattive maniere

Ti ristorerà l’ombra delle mie fronde

Devo potrai assopirti, quieto

Non celo parassiti o ragnatele

Grazie allo shampoo del mio parrucchiere

(Come premio per il mio divino affronto

Ho profumi ed essenze sempre in sconto)

Lasciati convincere dalla mia chioma

E dipanerò senza tradirlo

L’enigma di quelle gote scure

Non sono pericolosa

Sono vita immobile,

Eterna e silenziosa

SFINGE

Ho aspettato millenni

Per una risposta esatta

Ho giustiziato innocenti

Con la pigrizia di un battito

Del mio cuore di gatta

Sollevando un sopracciglio

E succhiando le ossa

Li ho spinti in un dirupo

Con la punta di un artiglio

Fra una zampata e uno sbadiglio

Per cento e cento sono stata

L’epigrafe dell’eterno giaciglio

Sicura, possente, insuperata

Poi sei arrivato tu a scardinare

Il mio regno di teschi e gerani

Non ho avuto più una scusa

Per passare giorni a sogghignare

E completamente sopraffatta

E’ iniziata nella mia testa

Una ridda di dubbio e sconfitta

E, dalla mia inanità delusa,

Mi sono sciolta e annullata

 

ASSEMBLEA

In semicerchio stiamo seduti

Come scolari

Come studenti

Come colleghi

Come ammaliati dalle vostre

Code di pavone

Dall’accumulo di avverbi

Dalla canasta di cellulari

Dalle vostre ventiquattr’ore operaie

Ogni tanto esclamazioni da massaie

E un brillante attorno agli anulari

Una parolaccia contro i nostri riserbi

Noi che nell’apprensione

Siamo a cavallo delle finestre

Se ci saranno altri dinieghi

Dai nostri dirigenti

Meglio lo schianto alle circolari

Non finiremo più neanche i minuti

MODULAZIONE

(“Tale è il gaudio dell’anima che temo,

Temo che più non mi sarà concesso

Quest’attimo divino

Nell’ignoto avvenir del mio destino”

Giuseppe Verdi, “Otello”, atto I)

 

V’erano due tasti di pianoforte

Separati da strettissima riviera

Speculari, non ostacolati

Da un lungo artiglio di lacca nera

 

L’uno era Mi, coronato di stelle

Aedo in borghese dalla lucida lira

Narrava il suo canto di geni e caravelle

Nei suoi rai l’infinito svolgea la sua spira

 

L’altro era Fa, modesta ninfa di bosco

Al suo collo una rete di foglie di pesca

Sedea sulla sponda del fiume e sciogliea

Nell’acqua una nenia dolce, e mesta

 

Si scrutarono a lungo, rimirandosi

In tralice sopra le spalle, mentre l’uno

Col canto narrava glorie passate

L’altra schiudea bocciòli al futuro

 

Vi fu un momento che tutto fermò

Un sole coronato discese nell’acque

A illuminare il passo, Mi parve alzarsi

Fa paurosa s’ascose e inabissò

 

Le rosse gote nelle bianche curve dei fiori

Gli occhi suoi nei muschi e fra i sassi

La notte nel cuore e le note fra i rami

Di musica ormai priva di colori

 

Poi se n’andarono e con moti di specchio

Ognuno tornò nel suo regno di giorno

Lei più saggio, lui un po’ più vecchio, certi

Del sublime istante svanito il ritorno.

 

REUNION

E poi ti chiederò

La provenienza di quelle scarpe rosa

Il nome del tuo lavoro senza resa

Il nome dei tuoi colleghi

Del tuo tabaccaio

Del tuo vicino

Ti chiederò

Cosa abbineresti con questo vino

Cosa si veda laggiù a ponente

Le misure del tuo ultimo amante

Come lavare i tuoi capi in lino

Quanto faccia la tua macchina con un litro

Se abbiano calcolato giusta l’aliquota

Cosa mangeresti alle prime luci del mattino

Ti chiederò ancora

Il nome di quel locale

In quale stagione fiorisca la canfora

Cosa faresti per il surriscaldamento globale

E tu risponderai, risponderai

Finché il nostro cuore oblungo e lucido

Si dividerà in alfieri d’ossigeno

Unite da un presente avido

Di sogni vaghi e malinconia

Di felicità commista a malvasia

Ogni parola che arranca

E’ come Icaro che avvampa

Nella luce gratuita

Della banalità

LASCITO

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come due zaffiri opachi

Serrati dentro un portagioie

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come due amuleti sacri

Argini per le mie paranoie

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come due francobolli rari

Per affrancare la mia voluttà

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come due zeri fallimentari

Per segnalare la mia stupidità

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come un otto rovesciato

Per ingannare l’infinito

Mi sono rimasti i tuoi occhi

Come un tunnel cementato

Dove il mio senno si è smarrito

CEMENTO

(Passione insicura)

 

Ho trovato un cuscino di terra

Per piantarci un roseto

L’ho accarezzato con violenza

Per educarlo a ricevere bellezza

L’ho adorato come un tabernacolo

Riverito come un oracolo

Ne ho auscultato il respiro

Aspettando il piccolo miracolo

Poi un giorno

Vi ho rovesciato sopra

La malta della menzogna

La ghiaia della durezza

E il catrame della vergogna

Ho lasciato che tutto asciugasse

La brezza dell’indifferenza

Ma in fondo ancora spero

Nella forza inumana

Della tua resilienza

 

 

CHE COMBINAZIONE

Ho ammirato le tue doti di attore

Quaggiù dalla botola del suggeritore

Come un alligatore misericordioso

Dal fondo di un fiume limaccioso

Mentre alternavi piume e rubini

Inganni e coltelli a vezzi e inchini

Mentre danzavi vicino ai miei occhi

Baciavi fatalone o strapazzavi sciocchi

Ho riconosciuto le tue scarpe rosse

Che tu fossi Bertoldo o Minosse

Il mio sguardo inabissato nella fossa

Quando tu affranto ti umiliavi a Canossa

E mentre amoreggiavi con una riccioluta

E’ successo che obliassi la battuta

Ed è stato allora che per una voce smorzata

L’intera scena è stata sabotata

Perché quella che ti ho sussurrata

Era

“Guardami”

VESTALE

Mi hanno velata di bianco

Come la fede

Come l’ingenuità

Come una tela da insozzare

 

Mi hanno sollevato sull’altare

Come una polena

Come una Madonna

Come un bambino da ingannare

 

Mi hanno affidato talismani

Come del fuoco

Come benzina

Come una vita da sacrificare

 

Mi hanno sposato ad una missione

Come una monaca

Come una moglie

Come un privilegio da non ricusare

 

Mi hanno riempita di onori

Come inchini

Come sorrisi

Come una statua da imbellettare

 

Mi hanno pagato in promesse

Come benevolenza

Come rispetto

Come molto tempo per recuperare

 

Mi hanno rinchiuso nel tempio

Come una larva

Come una mummia

Come una donna da dimenticare

 

Mi hanno abbandonata trent’anni

Come un rudere

Come un roveto

Come un terreno da dissodare

 

Mi hanno ritrovata stamani

Come una foglia

Come una pietra

Come una vecchia da seppellire