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Doppietta

Vivido impeto, vacillo ai b.p.m
della musica irrequieta del respiro
tuo. Mi allontano, beccata sul legno,
privo della terminologia
resto nudo sul divano. E mentre penso,
presto, sarà diverso. Un solo, inquieto
attimo d’eterno che spoglierà l’inverno
e nel candore pallido d’un baluginio
faremo l’amore caldi, prima dell’addio.

Nel calore del talamo, tagliami
il cuore e in mano tienilo.
Se mai avrai sete, se mai alle sette
di sera non saprai che fare, chiamami.
Sarò pronto a non rispondere.
E dunque, tra la cenere e la polvere,
disperso, diverrò vagabondo senza Lilli,
alla fine, per quanto addobbati siamo,
per quanto la contaminazione trasformi
restiamo comunque i nostri primi ricordi.

Questo non sarà un rimorso

Sei la banalità della copia,
epigono scadente, un calco
dell’originale perduto.
Tu vivi nei vuoi dell’insicurezza,
ti cibi di stereotipi pronti.
Dov’è la creatività?
Dov’è l’ardore, la tensione
sublime all’assoluto, l’hai scordata?
Non rimembri il color #706520,
while Matteo != te:
print(‘still different’).
Ormai, confido, difficile rimane
il concilio. Dovrei, volendo,
cambiare il mondo per parlarti.
Ma quando mai potrei?
E se dovessi, sceglierei la prima
o la seconda? Tanto non sono all’altezza.
E nella mia vita, questo non sarà
un rimorso. A presto.

Osservando la vitrea cornea

Osservando la vitrea cornea
del mio cadavere.
Sono forse
estinto?
Sia forse che la dose
troppo alta di ketamina
abbia lanciato me dentro
all’utero universale?
Oppure ancora sono.
Ma chi è, se non suona?
Chi è questo individuo
che muove e agita
il cosmo, universo di particelle
meno complesse
del nostro cervello.

Allora, privo di materia,
emozione pura, spirito assoluto,
dissolvo in colori le emozioni,
tutto ciò che mi circonda è placato.

Scende dalla nave il marinaio,
ride il comandante,
sotto i baffi
il volto noto di mio padre.

Py Js Pt

Tempo che passa, Matteo che
def cresce ():
if matteoInnamorato = true {
alert (“Exit”);
};
Le solite mani operano,
magari arte,
magari no;
let Matteo = [“La somma di tutte le cose”];
Ma la somma di tutte le cose, non sono le cose stesse.
Poiché, nomen sunt consequentia rerum,
e siccome
nella realtà i nomi non esistono,
ciò che resta è
let.

Esselunga

Ripetere! Eseguire! Operare!
La scena appare medesima
ogni giorno, poco la furbizia
mi sottrae ai quotidiani compiti,
esercizi identici senza sosta né fine.

Fuori passano i giorni, le stagioni,
l’amore scappa e l’amicizia aspetta.
Il portafoglio pieno è l’inganno moderno,
intanto invecchio e poco rimane
se non la noia del consumo.

Ma quanto mangia l’Italia? Quanto
cibo ingurgita il vicino grasso
mentre l’Africa muore? A che prezzo
posso acquistare la guerra?
Quanto costa un chilo di povertà?

Intanto sgorga dalle fauci dentate
un foglio in bianco e nero,
esattamente dall’altra parte del negozio
e chiude la transazione.
Prendere la macchina e ripartire,
esaltati dalla spesa, pregustando sapori
esotici e prelibatezze a domicilio.
Luculliano piacere, esorbitante esistenza
in promozione.

Ma non fraintendete, a me piace.
Essere e non essere: macchina desiderante,
esonerato dal compito sociale,
ridotto a mero arnese, una volta fuori
vorrei subito tornarci.

Al fiume

Magrezza di piaceri,
perché poi tanto scorrono, sommersi.
L’alba dell’anatra staglia
in cielo le sfumature dell’iride.
Nel mondo, vagano anime
indifese. Del celeste chiarore
mi rimane il ricordo;
e un ricordo assopito
risveglia in me la volontà
di prendere e partire.

Fatidica ora in cui saltai
il passo del coraggio.
Come battezzato (da quanto
in poesia, non si parla
di religione?) rinasco uomo
e ammiro la donna di fiume
che, nuda e vestita,
trascina a fondo le paure
e in alto i bastoni di carne
e sangue rosso occaso.

Proseguendo, la sponda singhiozza
un cinguettio di carezze
e nelle pozze m’appoggio
appena. Il tempo di destare
la mente, lucidità massima,
trasbordano le frattaglie
e nella curva dell’inizio
disteso e confuso
ammiro d’amore la morte.

Come la nostra opinione modifica la realtà

Se davvero io o tu, noi insomma
conoscessimo. Con “conoscessimo”
intendo sapessimo tutto quanto.
L’onniscenza. Svelassimo la verità
(quante condizioni attorcigliate,
tolgono la coda al coniglio).
Allora, e solo allora,
che senso avrebbe la vita?
Questa vita di convinzioni
e condizioni innate forse,
empiriche altre, ma pur sempre
dettate dalla nostra natura.
Fino a quando, fin dove il mistero
supera la decisione somma,
“de servo arbitrio” e in fondo
il rogo di Serveto
a cosa è servito?

###A

Negatività liberami dalla tua oppressione. Sento il mostro muoversi all’interno delle viscere, rodermi il fegato, bloccare il respiro. L’aria fatica a passare in gola, aumenta la sudorazione. Sento le dita tremare e non riesco a controllarle. Non so cosa fare, non so, non so, non so. Sono ignorante in tutto e tutto ignoro. La mia consolazione unica sono il vocabolario e l’algoritmo. Basta. Per il resto sono completamente ignaro. Tuttavia so che la mia condizione è comune al genere umano. Che l’onniscenza non è di questo mondo e, soprattutto, che non sono fatto per conoscere ma per vivere. Altrimenti sarei un computer. Fiero di questa conquista intellettuale abbandono le paranoie e migro in cieli superiori.

Mattina presto

La mattina, al risveglio, mi domando sempre
perché cazzo sto ancora vivo?
Sarebbe bello, un giorno,
svegliarsi e non esserci.

La sera, al tramonto, mi chiedo sempre
sarò sveglio domattina?
E ogni mattina, puntuale,
apro gli occhi.

Se una voce fuggente e secca

Se una voce fuggente e secca,
urlasse verità innegabili e superiori
da una foglia di acero strappata.

Se nel vuoto cadessero,
precipitassero occhi,
s’illuminasse l’aspra pupilla
dalle infime e molli resilienze,
sospiro e rugiada nel campo di mirtilli.

Se congiunte le costellazioni aliene.

Allora apparirà sul calare del foglio
un candore di pastello che avvolge e spreme,
cencio e panno stesi all’ombra del terrazzo,
dalle gridanti, uggiose, sorelle
che filano l’erba sulla sedia.

Ma cosa e perché supponiamo, noi,
persone di sangue comune e qualunque
che incappano le assurde e tragiche,
esilaranti vicende umane e alle umane sorti
connessa, la nostra vita
dal sapore di scossa che da scossa dipana
se stessa in forma di rosa, in veste d’ancella.

Trasborda la vergogna e l’assurda sequenza
sequela di assuefazioni e usanze abitudinarie,
ritmo incessante, immobile inverno.
Invero costrutto autoportante, autoreggente,
un lampo nel buio squarcia la sequoia.
Suona il senso, senza sposa o sposo
nella riva notturna del lago,
ondosa.