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Si deve necessariamente essere Dionisiaci
a vent’anni.
Si deve necessariamente sembrare Apollinei
a trent’anni.
Si deve necessariamente capirne il senso
almeno a quaranta.

Questo torpore
è una campana di vetro.
Fuori tutti fanno rumore
li vedi ma non li senti.

Se chiudi gli occhi
sei solo.
Sei in pace.

…e sùbito gli altri sono
occhi minacciosi nel buio.
Li senti ma non li vedi.

…e sùbito quello che hai lasciato fuori
sale dal basso nel petto.
E’ un istante
non sei più solo.
Ed è finito.

Decadenza #1 (Europa)

Al di là delle vetrate in frantumi,
delle porte divelte, del legno marcio,
un vecchio gatto si appresta a morire
con il contegno della solitudine.

Raggomitolato in disparte, nel silenzio,
spira sotto una crociera di archi.

Dov’è, di questa morte antica,
lo stesso splendore tetro
nella cattedrale nostra in rovina?

Desista il mondo da inamorevoli cure.
Lasciateci – morire – soli.

Smetterò di fare
il poeta nervoso
e finalmente sarò
poeta fallito.
Senza un’idea su tutto
senza poter criticare tutto
per diletto
e per convincermi.
Ricorderò la tensione al grande
che sempre tale sarà rimasta
e saprò farmi bastare
le piccole gioie
e il saper citare colto
magari in latino.
Riderò del mio diletto
per i tempi tronchi
e gli accenti sull’ultima,
per aver preferito sempre
il semplice al remoto.
E
per aver spostato il discorso
paventando i miei eccessi
di precorritrice nostalgia.

Ho distillato per ore
volatili flussi di coscienza
e residui grumi di certezza.
Resta una sintesi che non convince.

Ho percosso bene le onde
mutandone la forma.
Che non scivolino via così,
come un passatempo.

Le curve piacciono
ma sono innocue.
Le linee dritte invece
fanno male
ma formano incastri.

Incastri, labirinti,
un po’ come questo.

Sei arrivato fin qui
e a me già basta.

Trova da solo l’uscita.

Sono i miei anni
quelli in cui ognuno si ritaglia
senza fatica
una dimensione personale
attento che essa
sia universalmente condivisa.

Al pari, sono anni di resistenza
vellutata, soffice, come soli sanno fare
i figli dei figli dei maestri:
miei coetanei, conterranei, consanguinei.

Sono anni strani, anni in cui l’io
è subordinato al voi
o al loro, se è con me che parli.
In questi miei anni strani
ad ogni azione
patisce e pretende
un’azione
uguale e contraria.

Solo in questi anni
l’attività ha per attributo
la leggerezza dove contano gli aggettivi
ed è il pesante nel campo dei nomi.

Ma il fascino vero,
terribile come il vero,
sta nell’avere per guida
un futuro lontano, oltre la vista.
Un futuro che non è compimento del presente.
Un futuro che non ha legami col presente.
Un futuro che sta semplicemente al di là
di un vallo
che non esclude tanto il guardo
quanto-

Puoi prendere queste lettere
e schizzarle gioiosamente sul viso
o suggerle per placare la sete.

Puoi prendere queste parole
per scoprire sull’acqua la perfezione del cerchio
o per scagliarle con rabbia contro i mostri.

Puoi prendere queste frasi,
per intrecciarle e farne delle funi
per sorreggerti e issarti oltre il muro
o per evadere dalla torre
stavolta incurante
del basso che chiama.

Puoi prendere questo testo
e farne ciò che vuoi.
Esso è il mio dono per te.

Non ho intenzione di incubare l’ora
per vedermi morire in mano la creatura.
La convinzione con cui compi l’Atto
crea il momento giusto.

Posso riassumere anni
di esposizione sul Taigeto
in una notte come tante.

Posso comprimere il tempo
fino a due dimensioni.
Fino a due lancette.
Fino a non avere quadrante.
Fino a renderlo indistinto, indecifrabile.

Posso comprimere il tempo
tanto da renderlo solo una questione
di spazio e intensità.

Scendo assieme agli eremiti.
Sono per il popolo.
Sono il popolo.
Sono.
E so.

Marzo, del dieci

Sotto la pergola nei campi
un sorriso sudaticcio d’ombra
il pozzo, l’amaca
il calore che sale
tutto intorno
è estate che non fa respirare

ma

è solo un lampo,
nella fredda brezza serale.