Continuerò
ad amare
la ruvidezza
della carta
sotto la grafite
di questa matita,
così amerei
la morbidezza
del tuo tocco
sulla mia pelle
già scalfita.
Continuerò
ad amare
la ruvidezza
della carta
sotto la grafite
di questa matita,
così amerei
la morbidezza
del tuo tocco
sulla mia pelle
già scalfita.
Mi troverai
nella chiave
degli alberi
più verdi.
Di quegli alberi
che s’ingialliscono
ma non si spogliano
(di vita)
subito.
Lunghi i silenzi
tra due sconosciuti
che si riconoscono
nelle canzoni, nelle parole.
Conoscenti scomposti
che vogliono di più
di uno sporadico contatto
d’anime:
puoi stringermi,
almeno sfiorami,
non temere,
baciami.
Non siamo
che ombre
d’Infinito,
che esplosioni
d’Assoluto
in un mondo
già definito.
E un giorno mi chiesi
cosa fosse la poesia.
Poi ti guardai negli occhi
e capii.
E lo sai
quanto vorrei
posare le mie labbra sulle tue.
Riscaldare
con un briciolo di passione
queste giornate inerti.
Concedere
al mio cuore
di cedere un battito
al momento.
In questa luce,
quanto vorrei
sfiorarti il viso
trovare la pace
dopo i tormenti
colmare, calmare
l’animo
tuo.
E lascia che accarezzi
il tuo viso, una notte
senza nessun velo
che separi i nostri cuori;
senza nessuna distanza
tra le nostre anime.
E lascia che accarezzi
il tuo amore
in quella luce fioca
della prima mattina,
con il sole giovane
che riflette nei tuoi occhi,
leggermente aperti
(quanto basta),
le emozioni
della notte
trascorsa.
Che lo sfiorare
delle tue dita
sul mio corpo
Racchiuda
tutti gli sguardi
che ci siamo dati,
che ci siamo persi,
che ci siamo giurati
di non perdere
più.
Non è forse di notte
che troviamo noi stessi?
A ricercarci nelle luci
di altre case.
A ritrovarci nella stranezza,
nella libertà
dei pensieri
che fluiscono
insieme al buio
delle nostre anime
di notte.
Immobili silenzi
fugaci esplosioni
interiori.
Luci nel vento,
tremanti sensazioni,
cuori dolenti,
occhi brillanti:
di chi ha amato
l’alba
ma trova sollievo
nei tramonti.