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Faccio il giro lungo per tornare a casa
nel bel mezzo del nulla
trovo la strada che non può aspettare
ho smesso di cercare di smettere
e spingere in fondo, oltre i segreti
vivere di stagioni senza mezze misure
facendo il fumo finto
come quello che facevo da piccolo
le sere d’inverno, mentre rientravo dal catechismo
e di strade non ne capivo proprio niente
ma andavo solo
dove mi piaceva andare.

 

Cerco i confini del ridicolo
l’ esaltazione
e il disprezzo di me stesso
Do il giusto nome alle cose
supero pianure a passi lunghi quanto parole
scavallo confini che narrano storie migliori
di un cammino solitario
sono l’aria fresca e la nebbia in vetta
sono mille pezzi
e mille frasi sparse
sono la neve sulle cime dei monti
sono una vasca da bagno nei giorni feriali
sono la vita in un foglio
e questo resta soltanto
un inutile muro.

 

Sei caduta al primo soffio di vento
come uno specchio rotto
mi hai rubato l’anima
pensa, mi maledico da solo
hai lasciato sette anni di assenza
e solo foglie gialle per terra.

Quando la battaglia è finita
e il sangue non pulsa più, è diventato borgogna
due uomini camminano nella steppa
una pianura di mutilazioni e sospiri dolenti
non si sa perché, ma quando finiscono le battaglie
una nebbiolina affilata scende sempre sul campo
come a dire che Dio si sta coprendo gli occhi con le mani
neanche lui vuole saperne di quel formicaio funestato
di quello shangai di pezzi di carne e ruggine
La battaglia è finita
e due uomini camminano nella steppa
Uno è un prete; ha perso una gamba
si trascina sulla rugiada di plasma a fatica
prega per un po’ d’acqua
continua a chiedersi da chi cominciare con l’estrema unzione, e prega
L’altro è un soldato, un mercenario, un poveretto
ha una freccia conficcata nel costato, il cuore è salvo
l’ha venduto anni fa insieme alla sua spada
è in piedi, la ferita gli digrigna i denti
gli stivali pestano la mano di un cadavere
lo sguardo è grigio, e grida:
ho vinto io.

Non puoi temerci
lo vedi cosa siamo
siamo chiusi in queste righe
che non possono ferire
un urlo in bianco e nero
una resistenza disarmata
siamo gli ultimi
quelli che non conoscono gelosia
siamo quello che ognuno pensa dell’amore
e mai si realizza
Non puoi temerci
siamo una delusione in partenza
una parola letta per caso
appesa su muro
una parola e basta
che puoi portarti nella tomba.

Ti ricordi quando eri piccolo?
Immagini vaghe
di una semplice felicità
inconsapevoli i denti
che spuntano e fanno male
impalcature di sorrisi
anch’essi inconsapevoli
Cosa ci ricorderemo fra qualche anno?
Immagini vaghe
una massa informe
sporca di fatica
vestita di ego
e qualche sorriso che raggiunge le labbra
all’oscuro di tutto
ancora una volta, inconsapevole
istinto di sopravvivenza.

Gambe che scrivono
poemi ad ogni passo
capelli di lirica
e mani che affrescano grazia
l’imperfezione del naso
e la tua pelle, filosofia e marmo
Le opere d’arte sono il mio incanto
il tallone dove
hai deciso di mirare
la mia fregatura.

 

Pareti spesse
quelle del cervello
colonne portanti d’insicurezza
schianti assicurati
cantieri in cui perdersi
senza scopo
la stirpe mi ha addestrato alla separazione
le vie dell’abbandono
portano tutte lì
le ombre sono più grandi di noi
anche se è giorno
soltanto vite, produzioni low budget
comparse che incrociano gli sguardi
per strada
chiedo a Dio: che ci facciamo qui?
ognuno rinchiuso nella sua testa
c’è un universo da vedere
strade buie
posti migliori
troppo da vivere
cattivo maestro
ci hai insegnato ad amare il mare
senza dirci come stare a galla.

 

Il letto che ci accoglie,
inerme confidente
di forze centripete d’anime
corpi stanchi
che riposano pensieri canuti
i sogni superstiti
e quelli persi nei cassetti dei traslochi.
Riempiamo salvadanai d’idee
in una caduta lenta
incessante
i capelli bianchi
si notano prima sul cuscino.
Sembriamo talmente stanchi
che a stento si vede il colore degli occhi
le cose accadono
e le clessidre servono solo a giocare col tempo
a scherzare sulla fine
che arriva senza riposo
una sera di queste
e il letto che ci spia
ogni santo giorno
ancora una volta
mentre scegliamo l’unica cosa che ci rimane
noi.

 

Snido i peccati negli occhi
negli sguardi bassi
rendo giustizia ai pensieri
pure quelli impuri
guardo sotto le gonne
anche quelle che non dovrei
la pelle liscia
e la pelle d’oca
la compassione
che provo per me stesso
i gesti sicuri
e le esitazioni delle mani
la solitudine dei nostri quotidiani
la determinazione
che ti rende sexy
la direzione
la scelta che muove, giorno dopo giorno
ogni centimetro del tuo corpo.