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Elogio della follia

Pestata da passo distratto –

il mio –

mi frantumavo

come foglia morta.

 

Mi ha raccolta, una notte,

una storia proibita;

solo raccontarla

mi ha salvata.

 

Faceva così:

 

“gli sguardi si guardano

i corpi si toccano

 

Esserci.”

 

E il segreto

trasudava da tutto:

era un sì, folle alla vita.

rosmarino cercasi

Il mio rosmarino è sparito
svanito, così, come un pensiero
ed ora di lui non v’è traccia
se non il tarlo di sè nella mia testa.

Dove va un pensiero quando sfugge?
Funziona
se smette di essere pensato?
Un rosmarino
senza cure
sopravvive?

Se una pianta isolata non fa un giardino
un pensiero, da solo, lo fa.

Ora so
che lui era verde il giusto
e il suo profumo
niente faceva invidiare
dei giardini più rigogliosi.

Ora vorrei che tornasse
perché
devo condire le patate
mentre lui
se ne sta in giro
a creare l’idea di qualcun altro.

Il faut cultiver notre jardin.

L’anno senza primavera

Privati della primavera
pensiamo a Lei
come ad una dea
a cui imploriamo grazia
dopo aver peccato di miscredenza.
Ignoriamo
che la divinità
è sorda alle nostre suppliche
tutto quel che desidera
è essere se stessa.

Fuori, senza noi
accade ugualmente:
le onde si inseguono;
il glicine che era spoglio
ora è fiorito;
i passeri più non bisbigliano
si esibiscono sul palcoscenico;
il vento soffia
spazza le nostre polveri;
la luna sorride
mostra il cielo vivo.

Il mondo senza l’uomo si vede meglio
si stiracchia, respira, si diverte.
La divinità trionfa
su chi la voleva prigioniera
ed ora è in gabbia,
su chi credeva d’essere
epicentro del mondo
ed invece senza di Lei
muore foglia secca.

Parole oblique

Amo la parola
che posa un fiore
s’un capo già imperfetto
non che lo ricopre

amo la parola
di strofa sussurrata
un po’ rauca
non di ritornello

amo la parola
che è cornice
antica e lignea
non soggetto

amo la parola
di retrogusto
di pepe macinato
non di sale

amo la parola intricata
ruvida, stonata
che pizzica in gola.

Dubito della parola che si fa maestra
eroica nota protagonista
temo la parola che si impone
pia su realtà difettosa

perché io l’amo com’è
storta e
di sbieco.

VIALE

Temo che il sole scappi
dietro il palazzo che non raggiungo.
Al di là della strada
la sua facciata decadente
mi sorride.

Conosco
il sentimento di varcarne la porta
ricordo
i pavimenti
levigati e senza attrito
rimpiango
i corridoi intricati
dove si gioca la vita
mi nutro, a volte
degli odori che promanano dalle sue cucine
saluto
le comari affacciate ai balconi
mi illumino
con le luci delle sue finestre
e indugio.

Il sole si muove svelto
io resto qui
ad anelare di raggiungerlo
prima che dietro di lui fugga.

Dall’entrata mi separa
l’impercettibile intervallo
tra due rintocchi:
il primo
è una nota intonata
al coro del mondo,
l’altro
mi stona dentro
al ritmo solitario del cuore;
in mezzo
un solo momento muto,
un impercettibile solco
misurato
diventa voragine.

Del sole resta oramai un’aurea fioca
la sua facciata decadente
l’unica che conosco
mi sorride.

Milano come altre

E’ difficile oggi
mantenersi sè
tra le file di un ATM
nella trama di un tailleur
tra le ombre di un concerto
nella fototessera
dell’ultimo minuto.

Tu ti sforzi
e sorridi pure
ma quello che appare
è un ghigno disperato
di attesa ed occasioni
ed occasioni sprecate.

Ti chiedi allora
cosa ne resta
della poesia che stai scrivendo
delle tue collanine
delle piroette dei tuoi occhi
invitati a ballare.

Lo ignoro,
ma ti chiedo:
senza,
che saresti?

Resisti.

Palabras sin vóz

Lo que me gusta de ti
es tu cuerpo,
de tu cuerpo me gustaron
tus ojos,
de tus ojos las estrellas que vieron;
Yo nunca las ví, pero conozco unas
las encontré en tu pecho;
de tú pecho me gustó su moverse
cuando se deja llevar más allá
cuando tiembla por música andina
o se calienta al ritmo del sexo;
de tú sexo me gustó tu boca
de tu boca me gustaron las palabras
de las palabras la ambición
que las hizo descaradas,
valientes,
y por eso poderosas.

Asi,finalmente, ganaste
e Yo también gané,
volví a los diecisiete
bajo el sonido de cuerdas tendidas,
bebí un trago foráneo
hasta aquella última gota
dulceamarga.
Y por noches sin tiempo
de esta danza sin nombre
danza de ojos, danza de pecho,
de sexo, de bocas, de vino
de palabras
Yo gané
un instante del cielo de Chile.

Ti ricordi?

Quando un giorno ti incontrerò
in quella sponda che non esiste
mi piacerebbe sapessi di autunno,
come quella notte di maggio.
Ti aspettavo
sotto un Tipuana tipu
non conoscevo il suo nome
non sapevo cosa il tempo
avrebbe fatto alle sue foglie
ma una la rubai
e la nascosi tra i seni.
Così di te
non avevo altro
che la paura dell’incontro;
ma il tuo sguardo di vecchio poeta
mi sussurrò una rima nota.
La foglia sarà ancora verde
e tu mi scruterai
con gli stessi occhi foranti.

Quando un dì ti incontrerò, dicevo,
in quel giorno non detto
mi piacerebbe non mi chiedessi
che fai o come stai
ma se credo in dio
e se qualche volta ho pianto
per il ciangottio di un pennuto
di colore azzurro.
Mi piacerebbe mi dicessi
non della tua casa,
non del tuo lavoro
ma della musica che senti
quando cammini per strada
e di quella volta
che comprasti una cetra
e la suonasti alla luna.
Non capirai le mie risposte
ma mi avvolgerai
come un velo di musica jazz.

Quando ci rincontreremo quindi
in quel tempo di altrove,
riconoscerò li tuo silenzio
come quel giorno
che aveva l’odore
di rosmarino,
e senza dirmelo tu
darai un suono al mio.
E non saprò, come non seppi,
se sarai amico, fratello, amante,
ma accosterò il mio andare al tuo
e ci perderemo nella notte
come due stelle cieche
che all’unisono muovono
i primi passi di tango.
Sarà allora
che le nostre anime viandanti
si sorrideranno
come due vecchie amiche.

E se tutto questo non sarà
perché il grigio è calato
sulla mia vita disordinata,
e se quanto dico non potrà
perché il freddo ti trattiene
un venerdì alle due di notte
che sia o non sia
io ugualmente
lo voglio raccontare
perché nessuno dica
che non sia accaduto per davvero.

Sono solo parole ma

una volta

come un fischio
hanno forato
l’aria di primavera
come profumo di pane
hanno contraddetto inverni
come un rapace
mi hanno tolta all’estate
e come giacigli
mi hanno svegliata
più calda.

Le hai sussurrate
come poesie
d’avanti alle mie gambe
ma
come le più belle foglie
le tue
hanno ceduto all’autunno
e  sono tornate
solo parole

Randagia

Come capirti, Argentina?

I tuoi cani randagi

hanno fame

hanno occhi amici

ma fianchi magri

e tu

non ti curi di loro.

I tuoi cani randagi

sono donne

hanno i figli del mondo

tra le braccia smilze

e tu

non ti curi di loro.

I tuoi occhi antichi

non vedono

che hai le mani sporche

delle strade sporche?

E il tuo cuore porteño

non soffre

questo freddo triste

che si piange di notte?

Dimmi Argentina,

se il tuo sguardo è cieco

e il tuo cuore non ode

perché i miei occhi

non si indignano

dei i tuoi muri sporchi

dei tuoi tempi lunghi

dei réclame ingiusti

delle piazze povere.

Cos’è questa musica

che scalda il mio petto

con siffatta passione

e questo pianto

al solo pensiero

di non vederti ancora

derubare la notte?

Era autunno

e camminavo a cuore spento

un giro di tacco, mortale

mi ha stretto il cuore,

una milonga, oh che milonga!

Mi ha chiuso gli occhi

e come te

mi ha fatta musica.

Ho accarezzato i tuoi cani

mi hanno reso randagia.

Ho baciato le tue donne

mi hanno reso libera.

Ho cebato il tuo mate

sono stata ristoro.

Ho incontrato Borges

sono stata poeta.

La cima de la Sierra

mi ha fatta vento

e Pachamama

mi ha detto che

le cose

più vicine alla morte

sono più dense.

Come te, Argentina.

Non potrò capirti

ma per amarti

mi basta

chiudere gli occhi

e seguirti.