Skip to main content

Rincorrer segni

Cercai ferite tra i rovi,

ne fui fuori indenne.

Strade di mascara per pozzi inevadibili,

nel rumore di fondo

di un universo intero,

tra speranze che si fanno illusioni

ed illusioni che si fanno certezze,

nel cuore supplicante del marasma

teso ansante al segreto d’ogni cosa.

Si spande qui l’unica voce,

chiara e inudita:

ciò che sarà, già dev’essere

e proprio è il nome Caso

all’illogico fluir di ciò che è scritto.

Valpurga

Assetati e stanchi,

compressi da invisibili mani,

eppur vuotati dal tempo de’ tiranni.

Alle lingue gonfiate in gola

lanciati a por quiete, si sta,

vibrando d’ogni poro vibrisse alla luna.

 

Il corpo si fa aere,

sospiro indugia a librar l’animo;

un mescersi di carne

col turbinar del vuoto in uno spasimo.

Tal rapir d’estasi e follia

strappa al sensibil mondo, dilata l’attimo.

 

A chi nulla difende

abbandonar logica

di propria vita al tremor giova,

con più grande diletto

al modo di Valpurga

per Atropo pie lame trova.

Colmare il vuoto

Monumenti eterni

nelle piazze vuote,

riempite dal silenzio

fin entro i polmoni,

nelle sere d’autunno

dan vita a sospiri

pennellati di malinconia,

intrisi di colpa,

nell’abbraccio inevitabile

tra le labbra nostre,

vittime del Caos.

Maree

Un’altra luna, un altro pianeta

affannarsi contro gravità,

senza davvero voler fuggire,

coi piedi sul sottile limbo

tra centripeto e centrifugo.

Sì vicini attestantisi

da non potersi affermare da sé,

da non potersi dir quieti,

se non alla vista di sottili maree,

gridanti euforiche la propria presenza.

Apnea

Compresso dall’aria che mi circonda

cerco disperatamente una sponda,

oppresso dal

Tic

Tac

resto immobile,

prestando attenzione al passar del tempo,

incalzante, stabile,

osservo

crescere il prurito addosso alle cose,

perdo i sensi,

non più parole,

non più luce,

nessun odore,

Tic

Tac.

Resto immobile.

Scoperta

Sottili debolezze

caparbie

sollevano i cocci ponendo lente radici.

Sublime visione

che il tempo ha strappato

si ricompone al lento lavoro,

stupendo ingenui occhi curiosi.

Falena

Mani di falena

contro le tue luci

tremanti, disperate

chiedono d’abbandonarsi,

si ritirano colpevoli,

tornano esauste

di nuovo

sempre.

Tra le righe

Discorsi di silenzi 

a proposito di nulla 

sono sangue che scorre nelle vene 

sono acqua che permea i polmoni.

 

Semi abbandonati 

su campi sterili 

li vedo germogliare 

annegati nella tua linfa.

 

Arso vivo 

di gocce donate 

da te che indugi 

sul mio destino.

Ripeti

Afferrami, nutriamoci l’un l’altro di carni speranzose.
Abbandonami, giacché travolti, fallimmo.
Riafferrami, è sorto un limbo lontano dai tuoi occhi.
Abbandonami, se non avrai ai miei dubbi degne risposte.
A te, che guardi a te stessa attraverso lenti troppo scure
fieramente
testardo
mi piego.
Attende quel limbo
da avvoltoio la mia resa,
forgiando nuove disilluse identità.

Fantasma

Vigorose alle viscere tuonavan le mie unghie
al principio
allorché glabro in viso ogni attimo bramavo.
Or si muovono con noia sui tessuti dilaniati,
schiave disilluse al mio vano cercare.
Quando cadranno dunque gli idoli,
che sarà del mio orgoglio?
Se davvero sono scimmia,
già mi sento moribondo.