Ti accarezzo
Quando dormi accanto a me
Dolcemente
Sulla tua pelle
Le mie dita compongono
Ti amo
Con la punta delle dita, silenziose, in una carezza
Ti amo
Con tutto il mio cuore, rumorosamente, in uno sguardo ti dico
Ti amo
Ti accarezzo
Quando dormi accanto a me
Dolcemente
Sulla tua pelle
Le mie dita compongono
Ti amo
Con la punta delle dita, silenziose, in una carezza
Ti amo
Con tutto il mio cuore, rumorosamente, in uno sguardo ti dico
Ti amo
Svegliarsi, la mattina, a Palma
un letto in due, testa piedi.
Colazione al naturale, che schifo l’avena!
Una finestra si apre sul giorno, sul mondo
che belli i tetti quaggiù.
E via per le strade ancora dormienti
senza caffè e sigarette, solo te.
un “pico” di baci
ciao, adios!
mi riempo di tempo vuoto
ci penso, lento, nuoto
tra i pensieri in fuga
e come ieri, nuove siga
non dovrei
fumo e mi calmo
finalmente un senso
Non ti voglio più vedere.
Quello che offri
mi è indigesto.
Non sopporto più il tuo controllo
travestito da amore,
è un prezzo troppo alto
che mi fa male.
Mi addolori amandomi
e non te ne rendi neanche conto;
lontano da te
mi sento autentico,
libero e felice,
nella mia autonomia.
Damn Johnson.
Schiantato sul bus. Damn, sento russo che mi brucia il timpano, Boshka!
Un fratello stasera se ne è andato, figlioli, manco un addio decente sono riuscito a dirgli.
Prosecco nelle vene e Lei, fratelli, una Boshka di bronzo corvino che un abbraccio è una accoltellata.
Umidità del cazzo, è ora di un dannato Gin Tonic.
Corridoi sotteranei, segrete malvage e discorsi buii nei retroscena del palcoscenico del mondo danno vita alla commedia.
“Sei un cazzo di coglione!” Lo so Fredson, ma la poesia sconfigge le fiamme dell’inferno.
Cazzo, sto tramonto da pulman grezzo senza aperitivo sbronza le mie narici.
Vattene vecchio! Guardami, non ho niente che ti può fregare.
Vene d’oro riccioli di gin, specchio dello sguardo di ghiaccio. Sabbia amara tra le ginocchia e sei ricordo d’ombra. Carotidi violacee nel buio dei fiumi di Parigi.
Ornate d’oro i coltelli, fratelli, e catturate lo sguardo alto della Dea!
L’ordine lo eseguo, principessa, e nell’ombra dei tuoi capelli mi dileguo.
Buio e calci in faccia.
Prossima volta sull’altare del vitello ci voglio essere io!
Si nasconde in disparte
negli angoli bui
in cui combatte i suoi demoni.
La pelle diviene rugiada,
il cuore un cavallo galoppante,
i muscoli pietra granitica,
gli occhi evitanti
e lo spirito schiacciato dal peso degli sguardi.
Si scorda cose,
non performa
e si mangia le parole.
Stupidità è la sua lettera scarlatta,
il marchio indelebile
cucito da lingue fredde come il metallo
e osservandolo prova ripugnanza
così come quando pensa a se stesso;
ma per favore abbiate pietà,
sputate il veleno in sua assenza.
Cercando attentamente nei suoi occhi
sarete accecati a un certo punto
da ogni sfumatura esistente del dolore.
Colpite con molta cautela
perché anche i rincoglioniti piangono.
Dolce agitato
batte sulle mie carni
non v’è pesantezza
e un poco recitativo
ascolta i respiri
a ritmo dei battiti
delle convulsioni
dell’animo.
Una febbre estatica,
breve come gli attimi
in cui guardi
ascolti
assapori le tonalità
che l’estroso universo
ti concede.
E crescendo crescendo
– appassionato! –
declini in un sorriso
le dolci fronde
che suscitano l’amore.
Sterminata vacuità
carenza cromatica
solo sabbia e grigio
svettano i monti inermi
sparuti
siedendomi sul vortice
orizzonte degli eventi del burrone
spigoloso terreno
quasi dolore
accetto l’unicità
percepisco perpetuo il moto di qualcosa
dentro
fuori
dei pianeti forse
del mio mondo arido saturo
secco intorno
inodore come il freddo sulla pelle
veloce rispetto alle stelle
fisse nel ventre dell’universo
costellazioni immaginarie
magnifici dipinti sul mondo
alzare la testa questo basta
e poi
infine
percettibili appena i miei sensi
audace perseveranza
catartica nelle fibre,
artico ormai
il mio terreno.
Istantanea paura
nostalgia di un me prima vissuto
il peso è insostenibile sul petto
supino non respiro
piango
o forse fingo di farlo
tutto si muove
fluisce
scorre
veloce veloce veloce
soffocate immagini sfocate;
una poi fissa
un uomo in piedi, le cuffie echeggiano rumori
confusione scende forse la lacrima:
mi vedo,
d’un tratto,
sono io
immobile.