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PIANO INCLINATO

Chissà dove sto correndo

Senza pedali né freno

Dove sto precipitando

Lungo un triangolo scaleno

Biglia impazzita

Smarrita

Invelenita

Solo condizionata

Dal motore del fare

Mai fermarsi un momento

A respirare

Tenere dritta la traiettoria di partenza

Cercando di evitare

Ogni lugubre pensiero

Su una qualche imminente scadenza

Sulla deriva del mio andare

E ancora ancora

Continuerò a ruotare

Sul mio pelvico perno

Finché non raggiungerò l’ultimo spigolo

Prima dell’inferno

E chissà se prima di saltare

Distenderò le membra

Rallenterò il vortice

Per acchiappare

Una fronda di salice

Volare ancora una volta

E piangere nel vento

Prima di atterrare

PIRAMO E TISBE

Alloggiamo per caso

In camerini affiancati

Angusti e prefabbricati

E attraverso una fessura nei pannelli

Ci siamo sconsideratamente spiati

Mentre tu agganci il papillon

Mentre io srotolo i collant

Tu ripassi battute

Io sfumo le matite

Tu canti in maschera

Io applico mascara

E continueremo ad occhieggiarci di soppiatto

Ad individuarci con le voci

Ostentando indifferenza di gatto

A lasciar cadere oracoli distratti

Abbandonando parole casuali

Come nastri slacciati

Finché non si alzerà il sipario

Ed attraverso il velo leggero

Della coercitiva finzione

Passando per uno zoppo, ammaccato copione

Io e te sul palco in collisione

Potremo suggerirci la verità

Per contratto

Per finta

Per convenzione

Ma senza più muri

E senza soluzione di continuità

HERA

Vi guardo tutti dall’alto

Dal mio scranno da regina barocca

Con la mia tiara di piume di pavone

E di peli di gatto

Mi sporgo in avanti dal balcone

Mentre voialtri laggiù vi massacrate

Per la gloria

Per le donne

Per un rotolo di banconote

Io mi dipingo le unghie per noia

Sciorinando sentenze

Mentre all’orizzonte brucia Troia

Trascorro le mie ore

Osservando le mosse di tutti

Dallo schermo traslucido

Di un televisore

E avrei commenti, consigli, insulti

Da dispensare

Se solo

In questa reggia vuota

Nei giardini sfioriti

Nel buio della mia alcova

Fosse rimasto qualcuno ad ascoltare

AL MIO PRIMO MAESTRO

Mi hai insegnato

A non fermarmi in superficie

Ad ascoltare gli ottoni in sottofondo

A dare più importanza

All’accompagnamento

Piuttosto che alla propria voce

E’ così in fondo la vita

Una panoplia

Di tante linee sparse e casuali

Intrecciate

In una schiva polifonia

Mi hai insegnato

Che umiltà, rispetto

Tenacia ed attenzione

Formino una sorta di armonia

Che io associo

A quella in cui ho imparato “Tanti Auguri”

Dalla tua voce di genitore

Sempre lei,

Quella di fa maggiore

EURIDIC*

Chissà per quale ragione

Fra tutti

Ho scelto proprio te

Trasfigurandoti

E adesso

Passo le giornate

A intrecciare quartine dorate

Con cui intrappolarti

Ammaliarti

Maritarti

A far vibrare tartarughe giganti

Ad ammansire ghepardi

Ti ho provato addosso

Le armature degli Argonauti

Tutte le corone e le collane

Di dee e cortigiane

Per me potresti essere

Elisabetta Prima

O Bellerofonte

Ma ho paura di guardarti veramente

Alla luce del sole

E scoprire che in realtà

Sei soltanto

Un cumulo di ombre

SCOGLIO

E anche questo fine settimana

Siamo riusciti ad incagliarci

In un piatto di linguine allo scoglio

Dopo aver scelto insieme

La marca della pasta

La densità della polpa

Le ventose del polipo

Dopo aver aspettato il sole

Che accarezzasse il prezzemolo

Dopo tanta attesa

E speranza

E cautela

“Non bruciare il soffritto”

“Non dimenticare il sale”

Abbiamo privilegiato il prodotto

Mentre il nostro affetto andava a male

E alla fine

Fra olio piccante, olio rovente

E bicchieri lucidati

Di questo piatto di linguine allo scoglio

Ci rimangono solo

Rutti soffocati

Cocci di conchiglia

E un retrogusto di aglio

IL SENSO DELL’UDITO

Vorrei fare l’amore con te

O anche solo con il suono della tua voce

Anzi pensandoci bene

Mi basterebbe sentirti dire

“C’è da pagare la corrente”

“Latte e zucchero nel caffè”

“Posso spegnere la luce”

Vorrei sedermi sulle tue elle

Dondolarmi sulle emme

Aspirare le tue ci

La tua bocca

Vorrei fosse il mio salvagente

Mentre galleggio a vista

Fra leviatani e meduse

Basterebbe poco

(Non romanze o serenate)

Sarebbe sufficiente

Sentirti pronunciare

Tutte le mie vocali inanellate

Ma siccome non è così

Mi tocca inventarmi delle scuse

E nel frattempo mi intrattengo

Con voci altrettanto misteriose

Che insegnano i verbi sulla Bbc

LADYGMA

Ora esco

Però la porta della camera

La lascerò socchiusa

Non si sa mai che tu passi di qua

Per un caffè o qualche altra cosa

Non si sa mai

Che tu debba andare in bagno

E distrattamente lanci uno sguardo dentro

Sembra un po’ tutto arruffato

Come il caos programmato

Di un delitto perfetto

Ma casomai

Tu avessi bisogno di un giochetto

Un passatempo enigmistico

Mentre sei seduto al gabinetto

Potresti provare ad unire i puntini

I maglioni i romanzi ed i bigodini

Chissà quale figura ti verrebbe fuori

Eliminando gli spazi neri

E lasciando al caso tutti gli altri colori

PAPERBACK LOVE

Oh ma quanto ti amo ti amo ti amo

Il mio cuore è tutt’un arrossito, cangiante

Diadema di tulipano

Un sentimento così enorme

Da riversarsi ovunque

Come granelli di sabbia

In fuga da una mano

Nuvole perforate da un aeroplano

Un sentimento

Capace di espandersi lontano

Come banchi di aringhe nell’oceano

 

Ma ora

Come trovare parole adatte

Per non tramutare questo trionfo di luce

In un imbranato leviatano urbano

Che urla sui muri e calpesta i fiori

Fa sciogliere candele

Genera in te soltanto lamentele

Per via del suo immenso deretano

Mi blocca, mi inibisce e mi stritola

Con soffocanti maniere da sagrestano

 

E allora

Ruberò le parole e le primule

A Giulietta, a Isotta ed a Cyrano

Alle Margherite, a Violetta, alla Bovary,

A Danae, a Rodolfo e Mimì,

A Sheherazade ed a Boccadoro

E alla fine farò confusione, temo…

Riuscirò a farmi amare da te

O amerò di più essere loro?

IL GRANDE DIRETTORE (Re Mida)

Doveva essere uno spasso

Da giovane, essere Re Mida

Arazzi e cavalieri ad ogni passo

E tutt’una riverenza di folla

Ossequiosa, spaventata, timida

Bramosa di sguardi (ma solo da lontano

A distanza di gorilla dalla mitica mano

Alfa e omega di quest’ometto marrano,

Inconsapevole, brillante, spregiudicato

Tutto, tutto d’oro laminato)

 

E guai, guai

A non soddisfarne il capriccioso solletico

Sul malcapitato calerebbe subito

Una dorata, maledetta cappa da eretico

E poi

Guanti di latta per proteggere le mani

(Del Maestro i veri unici bambini)

Della preziosa benevolenza

Ex amanti, dissidenti e barboncini

Hanno già pagato la conseguenza

 

Ah che bella vita, che bel piacere

Guardare il mondo dal contorno di un bicchiere

Di denaro e zaffiri tempestato

Non sia mai che un giorno il divino arto

Tocchi carta o salvietta da sedere,

Ne venga fuori un culo inciso e smerigliato

E si debban chiamare fabbro e gioielliere-

Gli avvoltoi calerebbero sul prato

E son già pronti i paparazzi per vedere